Una lunga malattia ci ha tolto un’amica, una collega, una compagna, e una preziosa collaboratrice di questo giornale. In tutta la sua vita, Maria Antonietta Saracino ha esplorato gli «altri lati del mondo», come dice il titolo di un libro dai lei pensato e curato. Sfidando le rigidità della divisione accademica dei saperi, e pagandone il prezzo, ha spezzato le barriere eurocentriche degli studi letterari.
Ha insegnato a tutti noi la centralità della cultura e della letteratura di un’Africa che era soprattutto quella delle donne: dobbiamo a lei l’incontro con voci radicali e purissime come Bessie Head, Sindiwe Magona o Buchi Emecheta; è stata la voce italiana di Miriam Makeba e di Doris Lessing.
Ha esplorato le tensioni del mondo coloniale e postcoloniale (è la sua traduzione di Cuore di tenebra di Joseph Conrad quella che legge Francesco De Gregori in un bellissimo audiolibro delle edizioni Emons), ed è stata fra i primissimi ad accorgersi, anche grazie agli incontri con i suoi stessi studenti, dell’emergente letteratura afroitaliana.
Il suo lavoro era soprattutto quello di far comunicare mondi diversi, gettare ponti e aprire passaggi. Anche per questo, aveva una passione profonda per la lingua.

Aveva ragionato sulla didattica linguistica, dedicava energie più di chiunque altro all’insegnamento, era una presenza attiva e generosa in un’istituzione universitaria che non l’ha mai ricambiata abbastanza.
È stata una delle più intelligenti, sensibili, competenti traduttrici delle scritture di lingua inglese. Solo lei poteva tradurre in modo così convincente libri complicati come Il giorno della libertà di Ralph Ellison, o ambigui come Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro.

Uno dei suoi lavori più profondi e originali è la cura e traduzione del Diario di Alice James, sorella di Henry James, da sempre canonizzato nell’americanistica convenzionale: anche qui, Maria Antonietta Saracino ascoltava altre voci, si avventurava alla ricerca di altri lati del mondo.

Era logico che scrivesse sul quotidiano il manifesto. Non le ho mai sentito fare proclami ideologici, non ce n’era bisogno: il suo radicalismo – la passione anticoloniale, la sapienza di genere, la coscienza egualitaria – trasparivano da ogni gesto, da ogni parola detta o scritta.
Un’altra cosa che non dimenticherò di lei è questa: per quanto fosse fiera di essere donna, altrettanto lo era della sua appartenenza pugliese, salentina, e meridionale. Il Sud del mondo per Maria Antonietta Saracino cominciava da lì.