È il 1946 quando Margaret Bourke-White sbarca in India inviata da Life, per documentare gli ultimi singulti dell’Impero britannico. È già famosissima per la quantità di splendidi reportages su tutti i possibili fronti della WW2 appena conclusa, attualmente esposti a Palazzo Reale di Milano, per la mostra Grande, Donna (recensita su Alias 17 ottobre da Beatrice Cassina). Ma l’India è una storia che l’attira da tempo, come racconterà in Half way to Freedom, il suo diario indiano. La forza di quel movimento (e di quel Gandhi) che con la sola arma della non violenza, sta segnando la fine del colonialismo – e quelle foto che le è capitato di vedere, di cadaveri ammucchiati a Calcutta per la terribile carestia in Bengala. Foto impressionanti e un po’ clandestine, di un certo Sunil Janah, che le autorità britanniche avrebbero voluto bloccare – e che però, grazie alla rete di esuli dal subcontinente, sono riuscite a circolare anche in occidente come cartoline, pamphlets, ritagli del giornale People’s War, organo ufficiale del Partito Comunista Indiano.

Così appena arrivata in India, Margaret si precipita a Bombay e bussa alla porta del PCI. La riceve il segretario generale in persona, P.C. Joshi, e solo dopo aver verificato la serietà del suo progetto, delle zone che vorrebbe visitare, del taglio che i reportages potranno avere, la presenta a Sunil, e tra i due scatta la più leale amicizia. Lei americana, già famosa, e più anziana di 10 anni. Lui ventiseienne e vibrante di voglia di fare, ma limitato dalla scarsità di mezzi del partito.

Margaret (a spese di Life) diventa quindi la sua sponsor, e lui la sua guida, accordo perfetto. Insieme si spingeranno in aree molto remote dell’Orissa, dell’Andra Pradesh, e nelle zone a nord di Mumbai, dove il partito è venuto a sapere di una eroica rivolta dei tribali Warli per le condizioni di feroce sfruttamento cui sono sottoposti da sempre: lavoro schiavile, pene corporali, sepolture da vivi per i riottosi, queste le notizie che arrivano da qualche mese, grazie all’attivismo di una certa Godavari Parulekar, una bengalese (tra l’altro di ottima famiglia) che si è votata insieme al marito alla causa di quei dannati della terra fondando la prima cellula del formidabile (tuttora) «All India Khisan Sabha», il sindacato nazionale dei contadini. Senza la guida di Sunil, Margaret non avrebbe mai potuto scattare la foto che vedete in queste pagine.

Ma sul piano tecnico la collaborazione funziona anche per Sunil , come lui stesso ha rievocato. «Dal partito avevo avuto in dotazione una Leica, ma senza flash, per cui niente foto di interni, e le capanne dei villaggi sono buie. Ma con Margaret avevamo escogitato un sistema: quando lei stava per scattare con il suo flash (e come sappiamo aveva l’abitudine di scattare foto a ripetizione), mi avvisava in tempo e scattavo anch’io.»

Moltissimi i negativi che attendono di essere sviluppati, di quella straordinaria spedizione à deux. Tra quelli sviluppati, ce n’è uno che la ritrae accanto al suo tripode, in cima a una tettoia: alta, capo scoperto, in pantaloni, assorbita in un lavoro al quale i locali (in primo piano le loro teste, di spalle) non saprebbero neppure dare un nome. «Un’immagine che da sola racconta la siderale distanza tra osservata, osservanti, e tutto quel che viene prima e dopo, incontro di mondi» osserva Ram Rahman, anche lui fotografo, amico personale di Sunil Janah e da tempo al lavoro sul suo archivo. «Sarebbe bello organizzare una mostra che ripercorre le tappe di quel viaggio, negli scatti affiancati di lei e di lui: oltre all’indubbio valore storico, alla scoperta di un’India mai vista prima (prima di quelle foto), sarebbe la documentazione di una relazione di collaborazione creativa davvero unica, nella storia della fotografia. E così feconda per entrambi.»

Il viaggio in India di Margaret sarebbe culminato di lì a pochi mesi con il famoso ritratto di Gandhi accanto al suo arcolaio – e con le foto del lutto per la sua uccisione, solo pochi giorni dopo. Per Sunil Janah quel viaggio fu solo l’inizio di un’infinita esplorazione: l’eccezionale documentazione delle lotte contadine in Telangana, con le donne tribali armate di fucile al pari dei compagni; il magnifico reportage tra gli adivasi del centro India, e poi nel Nord Est. Un incanto di purezza che l’avanzata del progresso avrebbe cancellato.