Più di tutto, il secondo romanzo di Mariachiara Farina, Maree (Robin edizioni, pp. 208, euro 14) dice della necessità di scrivere storie, raccontarle, ricordare. Nella cornice storica del periodo fascista, in una Sardegna composita, tra Cagliari e i paesi dell’entroterra, l’autrice situa la storia di una famiglia e della società del tempo.
Il punto di vista della narrazione è esterno e si posa fin da subito su Zenia, la sorella minore, e sul mare a cui la ragazzina nel corso del romanzo si rivolgerà più volte, come fosse una confidente: «mare, tu sei femmina, vero? Ti parlano come fossi maschio, ma io so che sei femmina. Come la Terra. Lo so perché tutte e due fate nascere le cose. E le trasformate da dentro».

IN QUESTA SCENA che si svolge a Cagliari, dove Zenia vive almeno fino a un certo punto della sua vita, la bambina sta confessando al mare ciò che la affligge: le bugie che le sono state dette dai suoi e quelle che ha creato lei a partire dalle mezze verità di cui è al corrente. Ha infatti scoperto che Lucia, sua amatissima sorella, è la figlia di un’altra donna, la prima moglie del loro padre. Non ci vorrà molto perché Lucia riesca a farsi perdonare: quel segreto non nasceva da un proposito di mentire, ma dal dolore mai sanato per la morte della madre.

Nel romanzo, a dimostrarsi incapace di superare quel lutto non è tanto la ragazza, che anzi sfoggia una maturità notevole e un amore profondo nei confronti della nuova famiglia. È proprio l’uomo, il militare che ha combattuto la campagna in Africa, il padre, a costituire il punto debole della storia familiare raccontata da Farina. È una figura che assomma in sé l’autorevolezza e la maggiore fragilità possibile. L’autrice è brava però a non creare un personaggio stereotipato che oscilla tra rabbia e debolezza, più che altro quest’uomo è un’ombra, come lo sono i morti che ha visto in guerra e la moglie che non riesce a dimenticare.

LA SECONDA ANIMA del romanzo è di tipo socio-politico: Lucia è una maestra elementare e quando la incontriamo «anno 1929-1930» il suo incarico è in un paesino dell’entroterra sardo, «comune di Seuras». I suoi alunni hanno grossi problemi di apprendimento e attenzione perché sono sfiancati dal lavoro nei campi e poi dall’obbligo scolastico. Farina non trasforma questa ragazza in una maestra-santa, Lucia ha una vocazione per l’insegnamento ma ha anche molti dubbi e soprattutto le difficoltà che si trova ad affrontare sono troppo grandi. Nel paese in cui insegna, a causa di una mala gestione politica dovuta all’ingerenza del regno sabaudo nel controllo del territorio, non sono arrivati i vaccini per la tubercolosi.
A tenere insieme queste due direzioni narrative ci sono i racconti che Lucia scrive per la sorella Zenia, per tenerle compagnia quando lei è in paese e la bambina è a Cagliari, per raccontarle il suo passato, per farle dei doni e poi per separarsene. Alla base di questo intreccio tra la trama del romanzo e quella di queste favole c’è la fede che solo le storie riescano a ricomporre ciò che viene spezzato dalle ingiustizie del mondo.