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Mare nostrum di dubbi

Mare nostrum di dubbi

Immigrazione Regole poco chiare sulla possibilità di accettare le domande di asilo politico nel corso della missione umanitaria. E ufficialmente non è esclusa la possibilità che i barconi vengano riportati in Libia

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 16 ottobre 2013

Salvare le centinaia di disperati che provano ad attraversare il Mediterraneo a bordo delle carrette del mare, senza che questo però significhi automaticamente portarli in Italia. E anche nel caso in cui ai militari che soccorrono i profughi venga fatta una esplicita richiesta di asilo politico, la decisione finale se accettare o meno la domanda spetterà al Viminale, che darà ordine se portare a terra i richiedenti asilo oppure no.
Genera ancora troppi dubbi «Mare nostrum», la missione umanitaria varata lunedì dal governo con l’obiettivo di mettere fine ai naufragi di uomini, donne e bambini in fuga da fame e guerre. Ieri il ministro della Difesa Mario Mauro è tornato a parlare degli obiettivi della missione che sarà operativa dal prossimo 18 ottobre. «Il compito è umanitario, ovvero salvare vite umane» ha spiegato, aggiungendo che se a bordo dei barconi raggiunti in mare dalle navi della marina militare non verranno segnalate particolari esigenze sanitarie e l’imbarcazione è in grado di navigare, il battello verrà scortato «verso il porto sicuro più vicino non necessariamente italiano». Ribadendo così un concetto giù espresso lunedì dal ministro degli Interni Alfano.
Parole che rassicurano solo in parte sulla sorte riservata ai migranti che verranno soccorsi. Tanto che ieri la capogruppo di Sel in commissione Difesa della Camera, Donatella Duranti, ha chiesto a Mauro di riferire in parlamento «sulle modalità operative e sulle regole della missione».
In realtà quella messa a punto da palazzo Chigi è una missione che se da una parte punta senza alcun dubbio a evitare altri naufragi come quelli costati la vita negli ultimi giorni a più di 400 persone nelle acque davanti Lampedusa, dall’altra mira però anche a evitare, o comunque a limitare, nuovi sbarchi sulle nostre coste. Ufficialmente non esistono regole di ingaggio per le sei navi militari impiegate insieme a elicotteri e aerei, tra i quali anche alcuni droni. «Non si tratta di un’attività militare come in Afghanistan o in Libano, quindi non servono», spiegano al ministero della Difesa. Tecnicamente, le operazioni di soccorso dovrebbero svolgersi in questo modo: una volta avvicinato il barcone, l’unità navale in servizio dovrà accertarsi che non sussista un pericolo di vita per le persone che si trovano a bordo e limitarsi a seguirlo da lontano segnalandone la posizione al ministero degli Interni perché – nel caso si trovi in acque italiane – provveda a inviare una motovedetta che scorti l’imbarcazione fino al porto più vicino. In caso di pericolo, perché l’imbarcazione imbarca acqua oppure perché è alla deriva dopo aver finito la benzina, i militari hanno invece l’ordine di intervenire subito mettendo in salvo gli occupanti.
Ma cosa succede quando l’intervento avviene in acque internazionali o comunque non italiane? Qui la faccenda si complica. Sia Mauro che Alfano hanno infatti ripetuto che il barcone – o i profughi soccorsi – va scortato fino al porto sicuro più vicino. Le destinazioni possibili sono solo tre: l’Italia, Malta o la Libia i cui porti in passato sono stati considerati sicuri grazie anche al trattato di amicizia che legava – e lega tutt’ora – Roma con Tripoli. La possibilità che le imbarcazioni vengano rispedite al loro punto di partenza è quindi reale, e comunque non è stata ancora esclusa ufficialmente, e questo non può che generare preoccupazione sia per l’instabilità politica che regna nel Paese nordafricano, sia per l’assoluta mancanza di rispetto dei diritti umani dei libici verso gli immigrati. «Deve essere chiaro che la Libia, paese di partenza per molti dei migranti che arrivano in Italia, non può essere assolutamente considerata come un luogo sicuro», ha ricordato non a caso ieri il direttore del Cir, Consiglio italiano per i rifugiati, Christopher Hein.
E problemi ci sono anche con Malta, da sempre restia ad accogliere i barconi con gli immigrati. Valga per tutti il caso della motonave Pinar, che alcuni anni fa rimase bloccata per giorni dopo aver salvato dei migranti in acque maltesi perché La Valletta non permetteva l’ingresso nel paese. Che succede se Malta continua a opporsi?
Ma il capitolo che preoccupa di più è quello che riguarda i richiedenti asilo. Le navi militari non hanno la possibilità di verificare se una domanda può essere accolta oppure no e in teoria dovrebbero accompagnare a terra quanti ne fanno richiesta. La decisione spetta però al Viminale che, a quanto pare di capire, potrebbe anche rifiutarsi di accogliere quanti hanno presentato la domanda. Se così fosse, potremmo trovarci di fronte a un nuovo caso di respingimento in mare per il quale l’Italia è già stata condannata in passato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

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