«No, non ha deciso solo Hamas, è una decisione presa in modo collegiale, da tutte le componenti promotrici della Marcia del Ritorno». L’avvocato dei diritti umani Salah Abdel Ati, uno degli organizzatori dell’“Alto Comitato per la Grande Marcia del Ritorno e la fine dell’assedio di Gaza”, smentisce chi attribuisce al movimento islamico che controlla Gaza dal 2007 la sospensione della mobilitazione popolare palestinese più importante e imponente negli ultimi dieci anni. «Abbiamo valutato la situazione e concluso che in questa fase occorre un rallentamento a vantaggio della nostra popolazione» spiega Abdel Ati al manifesto «dopo una pausa le proteste (lungo le linee con Israele, ndr) riprenderanno ma saranno mensili, più settimanali. Poi, terminato il raduno che organizzeremo il prossimo 30 marzo (secondo anniversario della Grande Marcia del Ritorno, ndr), avvieremo altre iniziative contro l’assedio di Gaza». Per Abdel Ati «la Grande Marcia del Ritorno ha raggiunto diversi dei suoi obiettivi, a cominciare dall’attenzione internazionale rivolta alla condizione della popolazione di Gaza». Ma, aggiunge, «sappiamo che  dovremo fare ancora tanto per mettere fine al blocco israeliano».

 

Ieri i rappresentanti delle varie forze politiche e sociali che due anni fa hanno promosso la mobilitazione, rilasciavano spiegazioni simili a quella offerta da Salah Abdel Ati. Inclusi quelli del Jihad Islami che pure di recente non hanno mancato di sottolineare differenze rivelanti con la linea di Hamas nei confronti di Israele. Nelle strade di Gaza e soprattutto sui social però tanti palestinesi contestano la decisione di “rallentare” (a dir poco) la Grande Marcia del Ritorno senza che siano stati raggiunti gli obiettivi veri, più importanti, indicati il 30 marzo 2018, giorno della prima massiccia protesta popolare nei pressi delle linee di demarcazione con Israele. Si era parlato, tra le altre cose, di diritto al ritorno per i palestinesi di Gaza ai loro villaggi di origine (in territorio israeliano) e di resistenza popolare fino alla revoca totale del blocco che strangola Gaza. Ben poco è cambiato mentre almeno 220 palestinesi, in gran parte giovani, sono stati uccisi dai tiri dei cecchini dell’esercito israeliano e molte migliaia sono stati feriti, centinaia dei quali hanno subito amputazioni o porteranno disabilità permanenti. Indimenticabile è la strage di oltre 60 dimostranti colpiti a morte il 14 maggio del 2018, mentre a Gerusalemme gli Usa inauguravano l’apertura dell’ambasciata per il 70esimo anniversario della proclamazione dello Stato di Israele.

 

Altri palestinesi di Gaza invece concordano la decisione presa e respingono l’idea che sia stata decisa la fine della mobilitazione. Tutti comunque sanno che dietro il passo annunciato dall’Alto Comitato della Grande Marcia del Ritorno, ci sono le trattative indirette in corso tra Hamas e Israele per una tregua di lunga durata. «Un funzionario di Hamas mi ha spiegato che non si poteva fare altrimenti – ci ha riferito ieri un noto giornalista di Gaza che ha chiesto di rimanere anonimo – il Qatar faceva pressioni per terminare la Marcia e Gaza ha bisogno dei soldi del Qatar mentre Israele vuole il ritorno della calma per continuare le trattative. Hamas perciò ha imposto la decisione all’Alto Comitato». Per l’analista Ghassan Khatib, docente all’Università di Bir Zeit «la Marcia ha mancato l’obiettivo della fine del blocco israeliano ed è stata usata da Hamas a scopo tattico, a seconda dell’andamento dei negoziati con Israele».

 

Intanto a Gaza è giunto Gabriele Rubini, più noto come Chef Rubio. Abbandonata la televisione, lo chef italiano aperto, sostenitore della causa palestinese, sta collaborando al Festival annuale Gaza Freestyle diretto da Meri Calvelli, manager locale della ong Acs, assieme al Centro Italiano di Scambio Culturale Vittorio Arrigoni-VIK.