Marcia del ritorno, altri quattro palestinesi uccisi
Gaza L’esercito israeliano prosegue la politica del pugno di ferro contro le manifestazioni palestinesi a ridosso delle linee di demarcazione. Altre centinaia di feriti. Msg denuncia l’uso di proiettili che frantumano le ossa
Gaza L’esercito israeliano prosegue la politica del pugno di ferro contro le manifestazioni palestinesi a ridosso delle linee di demarcazione. Altre centinaia di feriti. Msg denuncia l’uso di proiettili che frantumano le ossa
Migliaia di palestinesi hanno manifestato contro il blocco di Gaza nel quarto venerdì della “Grande Marcia del Ritorno” a ridosso delle linee di separazione con Israele. Il bilancio di morti e feriti è stato pesante come nei venerdì precedenti. Quattro palestinesi sono stati uccisi dal fuoco dei cecchini dell’esercito israeliano. Altri 650 sono stati feriti, di cui diverse decine da proiettili veri. Dal 30 maggio almeno 37 palestinesi sono stati colpiti a morte mentre il ministro della difesa israeliano Lieberman ribadisce la linea del pugno di ferro nei confronti di chi prende parte alle manifestazioni. Ieri, dopo aver compiuto un sopralluogo lungo le linee di demarcazione con Gaza, Lieberman ha scritto su Twitter: «Ho incontrato soldati e ufficiali che comprendono bene quale sia la loro missione. Sono determinati, sono il meglio di Israele, su di loro si può contare». I morti di ieri sono stato identificati come Ahmed al Athamna, Ahmad Abu Aqel, Saed Abu Thamna e Mohammed Ayoub. Tre di Jabaliya e uno di Khan Yunis. Tanta la commozione a Gaza per l’uccisione di Mohammed Ayoub, 15enne, e di Ahmad Abu Aqel, 25enne e disabile, già ferito dall’esercito israeliano. La sua morte ha ricordato quella di Ibrahim Abu Thuraya, rimasto anni prima senza gambe per un attacco israeliano su Gaza, colpito lo scorso dicembre nella fascia orientale di Gaza durante le proteste per il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele fatto da Donald Trump. E mentre si attende il trasferimento, a metà maggio, dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, il governo Netanyahu fa sapere che ci sarebbero sei Paesi pronti a seguire le orme della Casa Bianca. Tra questi, si sussurra, primo fra gli Stati europei, la Romania.
Quest’ultimo venerdì, dedicato ai martiri e ai prigionieri politici, era cominciato con il lancio di aquiloni verso le postazioni israeliane. Alcuni portavano bottiglie incendiarie come denunciato dal portavoce militare israeliano ma in gran parte trasportavano volantini destinati ai soldati con questo testo: «Sionisti, non c’è posto per voi in Palestina. Tornate da dove siete venuti. Non ascoltate i vostri leader. Loro vi portano alla morte e alla prigionia. Gerusalemme, capitale della Palestina». In precedenza erano stati gli israeliani a lanciare volantini verso i cinque accampamenti della “Grande Marcia del ritorno” con i quali hanno avvertito i manifestanti che avrebbero affrontato, come in passato, la dura reazione dell’esercito. Nel pomeriggio i due principali leader del movimento islamico Hamas, Ismail Haniyeh e Yihia Sinwar, hanno incoraggiato i dimostranti a proseguire le proteste anche nelle prossime settimane, fino al 15 maggio, giorno che commemora la Nakba palestinese del 1948. Al momento non è chiaro se quel giorno i partecipanti alla “Grande Marcia del Ritorno”, che chiedono prima di ogni altra cosa la fine del blocco israeliano di Gaza, proveranno in massa a superare le barriere di demarcazione con Israele. L’Onu intanto attraverso il suo coordinatore umanitario, Jamie McGoldrick, ha di nuovo fatto appello alla protezione dei manifestanti e chiesto l’invio di aiuti immediati a Gaza, per rispondere all’alto numero di feriti colpiti dall’esercito israeliano e sostenere gli ospedali che lavoranoda un mese in costante emergenza ai limiti del collasso.
Ad aggravare il quadro sanitario sono anche le condizioni di alcuni feriti. Lo staff locale di Medici senza frontiere riferisce di aver ricevuto pazienti con lesioni agli arti inferiori di una gravità insolita – con la distruzione delle ossa e dei tessuti molli – estremamente complesse da trattare e destinate a lasciare la maggior parte dei palestinesi colpiti dai tiratori scelti israeliani con gravi disabilità fisiche. «La metà degli oltre 500 pazienti che abbiamo ammesso nelle nostre cliniche presentano ferite in cui il proiettile ha letteralmente distrutto il tessuto dopo aver polverizzato l’osso», ha detto Marie-Elisabeth Ingres, capo missione di MSF in Palestina. «Questi pazienti – ha aggiunto – avranno bisogno di operazioni chirurgiche molto complesse e molti di loro avranno disabilità per tutta la vita».
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