Sotto gli ombrelloni non ne sanno quasi niente, ma questo ponte di Ferragosto è un momento cruciale per la vita politica delle Marche.

Dopo essersi odiati e disprezzati per cinque anni, dopo spaccature e annessioni, dopo aver giurato e spergiurato che «amici no, compagni men che meno», il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle potrebbero addirittura coalizzarsi e presentarsi uniti alla sfida elettorale del 20 e 21 settembre.

È COMUNQUE DURISSIMA, quasi impossibile: le liste vanno presentate entro la metà della prossima settimana, e la campagna elettorale è di fatto già cominciata. Difficile dire se lo sposalizio all’ultimo miglio sia una buona idea o meno. Nel Pd ci sperano tutti, in realtà, e anche il vicesegretario Andrea Orlando con i suoi è stato molto chiaro: «Ci proveremo fino all’ultimo». E però gli alleati, soprattutto quelli di Italia Viva e di Azione, non ne vogliono sapere e arrivano addirittura a minacciare di ritirare le proprie candidature.

Verità? Pretattica? Finzione? L’unica cosa certa è che, se coalizione demostellata sarà, il candidato non potrà che essere quello già scelto dal centrosinistra per sostituire l’uscente Luca Ceriscioli: il sindaco di Senigallia Maurizio Mangialardi, con tanti cari saluti al grillino Gian Mario Mercorelli, che tra l’altro di correre per la presidenza non ne avrebbe neanche tanta voglia. Il terzo posto annunciato, infatti, potrebbe comunque non bastargli per entrare in consiglio regionale. «E sai quanto costa candidarsi? Poi restano tanti conti da pagare e senza uno stipendio da consigliere è dura…», chiosa un alto papavero del Pd che sa come funzionano le cose del mondo. Un precedente, peraltro, già c’è ed è tutto marchigiano: lo scorso gennaio, a Pesaro, il sindaco pd Matteo Ricci è riuscito a portare in giunta il M5s e, per ora, l’alleanza politica regge.

LA DESTRA PARTE AVANTI, i sondaggi danno il candidato di Fratelli d’Italia Francesco Acquaroli in vantaggio di almeno cinque punti.

Aritmeticamente l’alleanza tra Pd e M5s colmerebbe questo gap, ma si sa che le somme non sempre fanno il totale dentro l’urna e l’incertezza regna sovrana nelle segrete stanze di tutti i partiti.

Mangialardi, che ha preso come spin doctor quelli di Consenso di Faenza, gli stessi che hanno lavorato con Bonaccini in Emilia, proverà a polarizzare la campagna sul più classico dei «noi e loro», il centrosinistra contro i barbari, la levata di scudi contro la destra nostalgica battezzata nel fuoco lo scorso ottobre ad Acquasanta Terme, in provincia di Ascoli, quando tutti quanti si videro in un ristorante per celebrare l’anniversario della Marcia su Roma. I menu con le citazioni di Mussolini e le foto dei convitati fecero il giro del web, causando più di qualche imbarazzo e diverse dichiarazioni ai confini del ridicolo («Ero lì per caso», dice ancora oggi Acquaroli). La verità, comunque, è che le immagini della serata fascistissima uscirono da destra, cioè dalla frangia che avrebbe preferito un altro candidato, magari l’ex sindaco di Ascoli Guido Castelli (Fdi), che comunque correrà per un seggio in consiglio e con il pensiero rivolto a una futura candidatura per la Camera o il Senato.

ALTROVE C’È L’ALTROVE, ovvero il filosofo Roberto Mancini, il candidato della sinistra, fondatore di una lista «di impegno civile» chiamata Dipende da Noi, piena zeppa di esponenti della mitologica società civile. «La nostra è un’altra politica – racconta il candidato filosofo -, messa in atto dalle persone che si ribellano al sistema. È la rivolta delle risorse umane, degli esuberi, degli scarti».

SULLO SFONDO RESTANO le Marche, con le colline piene di vigne, le spiagge lunghissime e i turisti che riempiono ogni spazio, malgrado il Covid, o forse proprio a causa di un lockdown che ha lasciato a tutti la voglia di passare più tempo possibile fuori di casa.

Anche per non pensare a tutto il resto: dopo l’odissea di primavera, rispetto all’anno scorso, le richieste di ore di cassa integrazione sul territorio regionale sono aumentate del 979,33% e l’orizzonte autunnale appare cupo come mai prima.

L’altro grande tema sarà quello sanitario: la pandemia ha dimostrato in maniera piuttosto plateale che la chiusura dei piccoli ospedali (tredici negli ultimi vent’anni, con una perdita di 1.175 posti letto, il 18% della dotazione totale) è stata una tragedia e il tentativo di crearne da zero, a Civitanova, con l’aiuto di Guido Bertolaso e dell’Ordine di Malta è uno scandalo che grida vendetta: un’operazione da venti milioni di euro con soli tre pazienti accolti prima della repentina chiusura appena dieci giorni dopo il taglio del nastro.

E POI CI SONO GLI ULTIMISSIMI, i terremotati, che da quattro anni aspettano una ricostruzione che non è mai partita davvero. Gli ultimi dati parlano di trentacinquemila persone che ancora percepiscono il contributo per l’affitto. Nessuno pensa davvero a loro: per la destra sono un’arma di propaganda – già sperimentata con successo in passato – e per il centrosinistra un peso sulla coscienza (e sulla credibilità) difficile da scaricare.

«Nelle zone terremotate perderemo male – conta un militante del Pd -, ad Ascoli e a Macerata la destra ci spianerà. Se però teniamo bene ad Ancona e Pesaro abbiamo comunque buone speranze di portare a casa la pelle». Ecco, il punto è esattamente questo: nessuno spera di finire in trionfo, al massimo di riuscire a cavarsela per un pelo. Aspettando il prossimo assalto.