È una «ricerca di libertà» quella di Carmela (Ivana Lotito), la protagonista del nuovo film di Marcello Sannino – Rosa pietra stella – che il regista presenterà in concorso oggi nella sezione Voices del Festival di Rotterdam (in corso fino al 2 febbraio). Ambientato nel comune napoletano di Portici, è il suo primo lavoro «di finzione» dopo una lunga carriera nel documentario, da Corde (2009) a Porta Capuana (2018).
Quella di Carmela è una ricerca irrequieta della propria strada, e di un possibile rapporto con la figlia appena entrata nell’adolescenza – Maria (Ludovica Nasti) – in un mondo in cui tutte le opportunità sembrano esserle precluse, in cui salta da un «impiccio» all’altro, lo sfratto dalla casa dove vive con la madre e la figlia è imminente e gli assistenti sociali «assediano» la difficile costruzione del suo rapporto con la piccola Maria.

Come è nato il progetto del film?
Nasce dalla volontà di misurarmi con una sceneggiatura, di lavorare con gli attori. E di raccontare la storia di una ragazza conosciuta molti anni fa: a lei è ispirato il carattere della protagonista. Inizialmente pensavo di seguirla, raccontare la sua vicenda, ma affrontare una storia del genere comporta «dare la vita» – che va anche bene ma questo avrebbe significato perdere il film.

Ha scelto una prospettiva femminile per raccontare uno specifico quartiere della città.
Volevo anche mostrare la differenza fra la Napoli grande metropoli e Portici: una realtà più ristretta e dove c’è una dimensione proletaria, quella a cui Carmela appartiene, molto ridotta. E questo per lei comporta avere ancora meno possibilità. Se fosse nata nei quartieri poveri di Napoli – dove tantissimi sono in una situazione analoga – non è detto che gli assistenti sociali le sarebbero stati così tanto addosso. Invece in una dimensione più piccola l’assistente sociale è più «ligia al dovere», più portata ad intervenire. E Carmela si perde in un flusso di piccoli traffici, senza avere i mezzi per portarli avanti, né per dare un futuro alle sue altre ambizioni. Un borghese avrebbe più possibilità di aspettare, di cercare la propria strada, senza l’urgenza in cui si trova lei. Che non accetta il restringersi delle prospettive imposto dalla sua condizione, e così si lancia in un traffico di permessi di soggiorno senza pensare di fare qualcosa di male, anzi credendo di essere d’aiuto: non ha coscienza della condizione degli immigrati. È una battaglia per la sopravvivenza che non si rivolge verso le classi agiate, ma si risolve in una lotta interna dei marginalizzati, degli esclusi.

Ci sono tre generazioni di donne al cuore del film.
La figlia di Carmela, Maria, si ribella contro di lei perché in realtà cerca con la madre una complicità, che poi si realizza paradossalmente a partire da uno schiaffo che Maria interpreta come un gesto di affetto, di vicinanza. La nonna invece viene da un’altra epoca, in cui sistemarsi voleva dire trovare un marito. Per lei l’irrequietezza della protagonista è incomprensibile. Carmela è una bella donna ed è abituata alle attenzioni degli uomini, che però spesso la vedono solo in quanto tale. Nella sua ricerca di libertà si porta dentro questo conflitto in cui il suo corpo è un’arma potente e anche un grande limite.

Come ha lavorato sul rapporto con i migranti?
Carmela si sposta poco da Portici, arriva fino a Porta Capuana, che è un po’ come una frontiera, il luogo ancestrale di accesso alla città, di attesa e incontro. Lì avevo già girato un documentario, Porta Capuana, interamente incentrato sul rapporto fra i napoletani e gli immigrati in quella parte di città, dove si affollano a distanza di anni varie etnie. Quando i migranti arrivano a Napoli la moschea è il primo punto di riferimento, ma ci sono anche ragazzi che non conoscono nessuno se non l’amico con cui sono partiti, così «cercano la vita» da soli e in questo modo sono molto più vulnerabili. Conoscevo bene il traffico dei permessi di soggiorno: va avanti da moltissimo tempo, da quando è stata varata la Bossi-Fini che prevede che si possa avere il permesso solo con un contratto di lavoro, una casa… E in questo modo obbliga tutti a essere «clandestini».