«Il fascismo è stato corresponsabile della Shoah. Prima per gli ebrei c’è stata la privazione dei diritti, poi, con la costituzione della Repubblica sociale italiana si è proceduto al loro arresto perché fossero deportati e quindi sterminati. E ora è con questa gente che dovremmo confrontarci? Bisogna essere chiari: non ci si confronta con gli assassini. Trovo assurdo che si possa dare spazio a gente che in un modo o nell’altro sostiene delle tesi che in passato hanno portato all’omicidio di massa».

Tra i maggiori storici italiani dell’Olocausto, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Museo della Shoah, collaboratore del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano e già nel consiglio del Centro educativo del Museo di Auschwitz-Birkenau, Marcello Pezzetti non ha dubbi su quanto sta per accadere al Salone di Torino che si inaugura giovedì e dove è confermata la presenza di uno stand dell’editore Altaforte, legato ai «fascisti del terzo millennio» di Casa Pound. Da studioso che ha indagato, tra le altre cose, il ruolo del fascismo italiano nello sterminio degli ebrei, trova inconcepibile che ci si richiama ancora oggi a quell’ideologia possa essere considerato parte del confronto pubblico. «Come Fondazione Museo della Shoah – ci spiega – abbiamo appena allestito una mostra che illustra come il regime di Salò fosse pienamente a conoscenza del destino che attendeva gli ebrei d’Europa e condividesse quanto stava accadendo».

Professore, una casa editrice neofascista al Salone di Torino dove si ricorda il centenario di Primo Levi, come è possibile?
La prima considerazione che mi sento di fare è che malgrado quanto si dice abitualmente sul fatto che «la Storia insegna» e via dicendo, nei fatti le cose non vanno così. La volontà degli individui, delle organizzazioni, dei partiti, delle ideologie è ciò che conta davvero e che fa La Storia, senza curarsi troppo di guardarsi indietro, a quanto è accaduto. Non è un caso che tutti gli sforzi che facciamo per spiegare la Shoah non sono compiuti perché abbiamo dato a quel periodo una sorta di patina sacrale, ma perché vogliamo che non succeda più.

La kermesse si inaugura domani, alcuni degli invitati hanno annunciato che non ci saranno in polemica con la presenza dei neofascisti. Lei cosa crede si debba fare?
È chiaro che ai neofascisti non avrebbe dato alcuno spazio, ma dal momento che ciò è accaduto, che loro saranno presenti al Salone, noi non possiamo rinunciare ad esserci. Come ha detto Daniel Vogelman, fondatore della casa editrice Giuntina «noi combattiamo il fascismo con i libri». Ed è quello che dobbiamo fare in questi giorni non rinunciando a partecipare, bensì dando un senso ulteriore al fatto di essere lì. Io voglio la libertà per me e per gli altri: tutti siamo liberi ma non di uccidere la libertà. Quindi noi non possiamo dare libertà di propaganda, che domani si potrà trasformare in libertà d’azione, a gente la cui ideologia vuole cancellare la libertà per tutti.

Il direttore del museo di Auschwitz, Piotr Cywinski e Halina Birenbaum, sopravvissuta al lager e autrice di un libro di memorie, hanno annunciato che non siederanno negli spazi del Lingotto spiegando come non si possa «chiedere ai sopravvissuti di condividere lo spazio con chi mette in discussione i fatti storici che hanno portato all’Olocausto, con chi ripropone un’idea fascista della società».
Si tratta di una scelta di grande coraggio perché le istituzioni della memoria in Polonia si trovano in una situazione davvero complicata, visto che di fascisti e antisemiti ce ne sono anche nel governo locale. Questo è un segnale forte a livello internazionale, rivolto all’Italia come al resto d’Europa, ma è anche un messaggio significativo indirizzato al governo di Varsavia. La loro iniziativa di presentare il libro di Birenbaum fuori dal Salone servirà a scuotere le coscienze.

A Torino l’editore neofascista presenta un libro-intervista a Salvini: quest’estrema destra è sempre più vicina alla politica ufficiale…
Certamente. Noi abbiamo dei politici che utilizzano gente che ha alle spalle un’ideologia inaccettabile. E questo pone un problema supplementare. Nel senso che nessuno di noi se ricoprisse un incarico istituzionale penserebbe di poter avere qualcosa a che fare con una casa editrice del genere, legata a un gruppo e a un’ideologia neofascista. È chiaro che Casa Pound, dal punto di vista ideologico, già nel definirsi «fascista», persegue obiettivi diversi da quelli della democrazia. Perciò come è possibile che un eletto di istituzioni democratiche intrattenga una qualche forma di rapporto con costoro?

Quali le conseguenze di una tale legittimazione pubblica, e istituzionale, del neofascismo?
Si tratta di conseguenze che possono apparire a prima vista sottili, ma sono destinate ad avere un impatto profondo. Perché contribuiscono a diffondere l’idea che si sia tutti sullo stesso piano, le idee e ciò che hanno prodotto nel corso della Storia, le vittime e i carnefici. Mi spiego. La rivalutazione di un passato che non può essere in alcun modo rivalutato, la non accettazione di ogni tipo di diversità: tutto questo rappresenta un pericolo reale. Una formazione di estrema destra non è uguale ad una formazione democratica. Un fascista non può essere democratico e le sue idee mirano a togliere la libertà a tutti gli altri. Da questo punto di vista, no, non siamo e non saremo mai tutti uguali.