Avviso ai naviganti! Quando leggerete questa rubrica io sarò già da qualche giorno a Maputo capitale del Mozambico. E del Mozambico comincio a parlare da ora, prima di partire, sono giorni e giorni che studio, leggo, guardo e mi preparo a questo viaggio nell’Africa Australe dove il 15 ottobre ci saranno elezioni presidenziali e parlamentari di cui darò notizia.

Intanto voglio segnalare Maputo, a low budget dream di Mario Martinazzi che verrà proiettato a Bologna il 12 ottobre al «Terra di tutti i film Festival». Questo film, è stato realizzato da Martinazzi , regista bresciano classe ’82, che firma regia, camera e montaggio con la indispensabile collaborazione di Timi Gaspari, giovane antropologa, teatrante e documentarista mozambicana di origine italiana, che lo ha condotto nei meandri di Maputo, ha scritto il film e lo ha anche coprodotto con l’Associaçao culturale e teatrale Luarte e l’Ass. giovani artisti indipendenti Torino.

C’è un «narratore» che ci conduce nella grande metropoli africana, si chiama Félix Mambucho, è attore e principalmente regista teatrale come il 95% dei teatranti mozambicani, Mambucho viene da uno dei quartieri modesti, periferici, di Maputo, ha formato con alcuni amici un gruppo di teatro (Luarte di cui fa parte anche Timi Gaspari) per passione. Felix, ci racconta la sua città dal centro di una cavea deserta e abbandonata e suddivide il racconto per capitoli: «La creazione»: il mare da cui nasce Maputo, un tempo Lourenço Marquez, la spiaggia con la città di cemento alle spalle, i riti pagani o cristiani davanti allo sterminato orizzonte australe.

«Prigioni»: la tremenda Villa Algarve, vecchio villino portoghese ridotto in macerie dove venivano torturati e uccisi gli oppositori politici, adesso rifugio dei «marginali», occupanti disperati e tormentati dai fantasmi che si aggirano tra le sue mura. «I sogni»: sogna il musicista Eloy Vasco nella sua striminzita catapecchia col manifesto di Elvis Presley appeso accanto al letto, e a lui s’ispira, sogna il pescatore che non è un pesce e vorrebbe respirare aria, sognano i mozambicani poveri di riaprire i cinema per sognare a occhi aperti.

«Città»: quella bianca e quella nera divise dal filo spinato, raccontata intelligentemente e crudamente dall’ex ministro e sociologo Josè Luis Cabaço che profondamente la conosce e la vede evolversi nelle pieghe, o meglio piaghe, della crescita capitalista che crea nuovi bisogni e desideri consumistici senza soddisfare, forse neanche affrontare, quelli primari.

«Low budget dream»: sogna Felix di fare un film in cui raccontare i problemi dei giovani, quello dell’Aids più di tutti, di avere un pubblico a cui narrare la storia di Luis e Julieta che dopo una notte d’ubriachezza hanno fatto l’amore senza che lui le svelasse d’esser sieropositivo.

«Problemi»: tantissimi in uno dei paesi più poveri del mondo, con una aspettativa di vita che non supera i 40 anni in cui però c’è la terza riserva di gas più importante del pianeta, in cui i giovani ricchi bianchi carambolano con macchine potenti mentre Arlete Bombe, giovane e brava attrice, e Maria Salghetti Drioli, esperta in formazione sanitaria, combattono come possono, su diversi fronti, la disinformazione e il pregiudizio che tanti danni causano a questo bellissimo paese.

Come un attore di Peter Brook nella Plaza de Toros della Carmen, come tutti gli attori africani, anche Felix, il narratore, trova la sua felicità espressiva caricando come un toro i suoi tanti nemici invisibili nell’arena vuota.