Un lungo ’68 da vedere. Dai prodromi della prima comunicazione grafica sui muri, quando la faccia barbuta di Marx si affacciava sull’intonaco, alla lunga e dimenticata coda di manifesti che va a innervarsi nell’inizio degli anni ’90, quando i centri sociali già mettevano in guardia contro il pericolo di una Lega ancora Nord sempre più aggressiva e abile a spargere veleno razzista, cavalcandone gli esiti funesti.
È 68 – I muri ribelli (euro 20, ordinabile presso archiviomovimenti.org), corposo volume illustrato di oltre trecento pagine appena uscito con la curatela dell’Archivio dei Movimenti di Genova, Archimovi, una struttura che, dal 2009, e in collaborazione con la Biblioteca civica Berio ha fatto della memoria e dello studio dei movimenti (non solo in Italia, peraltro) un punto fermo per la produzione di materiali audiovisivi, libri, mostre, raccogliendo ogni tipo di fonte: volantini, opuscoli, filmati, oggetti, riviste, fotografie. Tutto ciò che possa servire a ricostruire i tasselli di un puzzle sociale magmatico e vitalissimo, anche visto con gli occhi di poi, in ogni caso stellarmente distante dalla retorica battente di un intero periodo ridotto alla formula asfittica degli «anni di piombo».

ANNI DI SUPERCONDUZIONE di idee, invece: che non a caso si conquistano il posto d’onore nell’immagine scelta per la copertina del libro, con il celebre manifesto che raffigura un gendarme armato di manganello visto dal basso, dalla prospettiva di un manifestante atterrato brutalmente, diremmo, e con lo slogan efficace «vietato calpestare le idee».
Scorre un fiotto di storia poderoso e imprescindibile, dai «muri ribelli», e se è vero che viviamo in un’epoca di superfetazione delle immagini, spesso costruite in modo da azzerare ogni ulteriore riflessione, nel narcotico bombardamento incessante da schermi grandi e piccoli, è vero anche che, a rivedere in sequenza stampe tipografiche, serigrafie, disegni, eliografie del testo (l’Archivio ne custodisce oltre seicento) si comprende quanto sia stata efficace e costruttiva, invece, una «cultura delle immagini» coi piedi saldi nella storia che si è occupata di fotografare in tempo reale quanto succedeva nella società, comunicandola dai muri delle città e dei paesi.

IL MANIFESTO CHE INVITA a non usare il rame arrivato in porto a Genova sulle navi dal Cile dell’orrore di Pinochet, quelli per il Vietnam sotto i bombardamenti al napalm Usa e il Nicaragua, Valpreda e i boicottaggi delle mostre belliche. Una falce e martello con la scritta «il manifesto».
È l’annuncio di un comizio di Luigi Pintor a piazza Matteotti, cuore di Genova.
Un buon corollario di testi agili e ma densi ricostruisce storia e manifesti dei movimenti, con interventi di Paola De Ferrari, Virginia Niri, Roberto Rossini, Ferruccio Giromimi, schede archivistiche curate da Alice D’Albis, fotografie di Adriano Silingardi.
Una riflessione finale dagli interventi sul libro? Il manifesto politico del «lungo ’68» ha prodotto nuovi oggetti comunicativi che hanno scardinato la benjaminiana «aura» dell’arte, restituendo la possibilità di fare, inventare, creare a tutti: l’arte della comunicazione come bene comune, insomma, o, anche, come si diceva in slogan, «l’immaginazione al potere»: non più fruitori di immagini, ma produttori diretti, quando suona il campanello della storia e della mobilitazione.

UNA LEZIONE che pervade ancora oggi la produzione dei movimenti contro il cambiamento climatico, il Black Lives Matter, e chissà quant’altro in futuro. Con i «muri ribelli» del ’68 c’è anche un aspetto ludico: Massimo Tonon e Virginia Niri hanno ideato una webapp per giocare con i manifesti. Basta inquadrare col telefono il riquadro apposito, e parte il tutto.