La doccia di Psycho diventa un fuoco d’artificio, uno spezzatino in celluloide che innaffia a pioggia la suspense dell’intero cinema di Alfred Hitchcock: una doccia rovente, dove all’elementare coltello s’aggiungono martello e sega elettrica, lasciando sul campo corpi sacrificali fuori copione. Più che un bignamino divertito delle sequenze-clou, il corto di Guido Manuli I love Hitchcock – che l’autore ha inserito nella cine-antologia per il grande omaggio che gli ha reso Cartoons on the Bay – è un neo-montaggio del brivido, che evita la scolastica successione di sketches di culto per rimescolarne le carte, miscelando sotto doccia battente tutti gli altri Hitchcock – in un inatteso e sconsacrato tributo al grande cineasta, di cui ricorrevano nel 2020 i 40 anni della scomparsa –, da Intrigo internazionale a La finestra sul cortile, da Il delitto perfetto a Notorius, a L’uomo che sapeva troppo, a Gli uccelli.

D’origine romagnola, milanese d’adozione («coatta: Milano era l’unica città dove una volta si faceva animazione»), Manuli ha da tempo trasferito famiglia e matite a Annecy, fino ad anni fa tempio del cartoon internazionale, da cui continua a sfornare le sue fantasie animate. Manuli, che viaggia giovanilmente verso gli 82 anni e se la ride di complimenti e confronti, ha cominciato a firmare cartoons nel 1960 fondando uno studio con Bruno Bozzetto. Insieme hanno firmato sigle, stacchi, pubblicità e canzoni per bambini. Al Cartoons on the Bay, dove tre anni fa aveva contribuito con un sintetico « j’accuse » animato all’80° anniversario delle cupe leggi razziali d’epoca fascista, è stato festeggiato con la «Hall of Fame» per l’artista dell’anno, completando il tris d’assi di turno, formato anche da Altan e Don Bluth. Gli ha fatto corona la riproposta dei suoi film: non solo gli esilaranti corti, da Opera a Incubus, ma anche i corposi lunghi, dall’Eroe dei due Mondi al sorprendente Volere Volare con Maurizio Nichetti, ribattezzato 30 anni fa, alla sua uscita, come il Roger Rabbit italiano, in realtà covato e progettato molti anni prima.

Sempre in prima fila, Guido Manuli, ma sempre con il complesso d’inferiorità rispetto al colosso Usa: continua a essere questa la condizione del made in Italy a matita?
Purtroppo, da anni, il nostro cinema d’animazione è il riscatto rassegnato – spesso sulla pelle di Disney – d’una condizione subordinata. Nel mio caso, Trailer, che ho realizzato per denunciare l’allergia del nostro Paese alla produzione di cartoons d’autore: il film rinuncia a farsi film limitandosi al proprio ‘trailer’, concluso da un’autoironica questua barbona, cui non rimarrà insensibile il Paperon Mickey di passaggio.

Dente avvelenato nei confronti del Topo-monopolio?
È vero che diversi miei film sono sberleffi all’impero Disney: Casting ad esempio ribalta i miti di carta nella quotidianità, potendo così sottoporre le figure di Biancaneve a immaginari provini. Faccio sfilare le candidate protagoniste, una troppo grassa, un’altra troppo ingorda di frutta, i candidati Nani, tra cui uno troppo basso…

Uno dei suoi film più iperbolici, «Solo un bacio», è anche il rimprovero a Disney di intromettersi nei nostri sogni erotici?
Certo! In Solo un bacio, che nell’’83 ci aveva dato l’idea di Volere Volare, la figura femminile più concupita è, guarda caso, la Biancaneve disneyana. Per possederla, basta un tuffo dentro il foglio da disegno, quasi fosse lo schermo di La rosa purpurea del Cairo, dove il fan a matita potrà finalmente sottomettere il suo idolo di carta a avances a luci rosse. Ma ha dimenticato un particolare, anzi, sette: i Nani, furibondi e armati di piccozze, che accorrono in difesa della loro esclusiva ficcando in gola al feticista la mela rossa della Strega. Solo un bacio d’un principe potrà risvegliare il cartoonist dal suo sogno di sesso infranto.

È in fuga da Disney che ha incrociato Tex Avery?
Finalmente l’‘altro’ Disney, il papà di Bugs Bunny e Daffy Duck! Ho sempre trovato irresistibili l’imprevedibilità delle soluzioni comiche e l’estrema libertà di ardite ‘licenze’ cinematografiche: l’introduzione di cartelli con commenti ammiccanti, personaggi che schizzano fuori pellicola per eccesso di velocità o finiscono in bianco e nero perché hanno superato ‘il limite del technicolor’. Un universo di corny gags (trovate scemotte), come le definiva lo stesso Avery, che tempestano i suoi stravolgimenti di storie esemplari hollywoodiane e le sue provocazioni hard.

Qual è per lei il capolavoro dell’‘altro’ Disney?
Cappuccetto rosso: ripetutamente rivisitato in chiave erotica, con il Lupo trasformato in un Hollywood Wolf, segugio di donne, la nonna ninfomane a caccia di gigolò e Cappuccetto spogliarellista. È la serie, negli anni alla Mgm, ’42-54, di sei variazioni sul tema, tra cui Red Hot Riding Hood, che nel ’43 scatenò le censure del Codice Hayes: un ciclico tormentone con la voluttuosa dai capelli rossi che si produce in bollenti strip (impeccabilmente animata da Preston Blair, il veterano di Pinocchio e di Fantasia) e il Lupo ululante d’eccitazione che si fa letteralmente tutt’occhi dilatando le pupille a pieno schermo, si stacca la testa dal collo e la picchia sul tavolo, aziona una macchina produttrice di fischi d’ammirazione, si mangia le mani, assumendo, tra bave e sussulti, posizioni inequivocabilmente falliche.

Il corpo come infinita tiramolla?
Il suo Lupo dalle membra impazzite anticipa il Carey di The Mask, quando, vinto dall’ amore, ha la bocca che gli casca, il cuore che gli esce dal petto, gli occhi a roteazione planetaria. The Mask è un Avery versione 3D.

Manuli, lei non ha solo frequentato gli eccessi (tipo «Erection»), ma anche pacifici, didascalici ammaestramenti, tipo «L’Eroe dei due Mondi». Com’è nato?
Garibaldi è un personaggio magnifico, di prima grandezza: eroe, ma umano. Con il solo difetto di essere nato in Italia. Fosse stato americano, gli avrebbero dedicato un’infinità di film. Il Generale Custer, al confronto, era un novellino. Son felice di averlo riscoperto. L’italiano ha tutto fuorché la memoria storica: ci manca una coscienza di patria. Diventiamo patrioti soltanto ai Mondiali. Uno showman della storia come Buffalo Bill si ritrova in centinaia di film, mentre Garibaldi attira Rossellini, Magni e stop. Noi andiamo a prendere gli eroi all’ estero e giriamo Queimada.

Dai lungometraggi ai corti, dai corti ai trailer. La sua è una resa rassegnata, nello stato sub-animato dell’Italia?
Un po’ sì. Dove si trovano più i soldi per un altro Allegro non troppo, realizzato con Bruno Bozzetto quasi mezzo secolo fa? Oggi, o lavori gratis o niente. E allora via con i trailer e le sigle: a dozzine in questi anni, per il Noir in Festival a Courmayeur, per Maremotion a Lipari, per il Festival Droits des Femmes & Cinéma a Parigi. Altrimenti, video (come per CIAK dove ho riutilizzato immagini di I love Hitchcock) o fumetti. Strisce, una volta animate, ora disegnate (faccio prima), come per MOONDO, il giornale online di Giampaolo Sodano, per cui ho resuscitato Trash, serie pensata per Ugo Nespolo, rimasta a un punto morto.

«Fly»: insettino triste, da «Day After». È la guida a come fare ‘un film da festival’. Siamo davvero alla fine?
È un cartoon che ho realizzato dopo l’ennesimo ‘no’ del Festival di Annecy, dove, anno dopo anno, vedo cartoons sempre più desolati, incapaci di sorriso, pieni d’arzigogoli inutili. E sono quelli che poi vincono il primo premio. Perciò ho voluto redarre a matita un anti-manuale su come trionfare ai festival, rinunciando a creatività, buon gusto, capacità tecnica. Effettivamente, mi pare che siamo proprio alla fine.