Un colpo di grazia alla sopravvivenza della biblioteca nazionale di Roma. Per i lavoratori della monumentale biblioteca a Castro Pretorio non c’è dubbio: lo spostamento di un centinaio di addetti della direzione generale per gli archivi al terzo piano della Nazionale, oggi ospitati in un palazzo in via Gaeta distante pochi passi, sarà un evento catastrofico per i delicati equilibri dell’astronave modernista progettata alla metà degli anni Settanta. La spending review del governo Monti del 2011-2012 ha tagliato le spese per gli affitti. Per risparmiare il ministero dei beni culturali (Mibact) ha deciso di trasferire questi uffici nel cuore di un edificio di 10 piani che ospitano 8 milioni di volumi a stampa, 2 mila incunaboli, 25 mila cinquecentine, 8 mila manoscritti, 10 mila stampe e disegni, 20 mila carte geografiche, e 1.342.154 opuscoli.

La decisione del ministero comporterà lo spostamento della direzione, della sala riunioni, degli uffici acquisti, quelli del personale amministrativo e della promozione culturale. L’operazione è allo studio del Mibact, ma non è ancora esecutiva. Cento persone non entrano al terzo piano della Nazionale ed è difficile spostare il laboratorio di restauro dei libri. La sede per la direzione degli archivi resterà la biblioteca, non c’è dubbio. «In quale altro paese europeo si progetta un’operazione che rischia di mettere a repentaglio la funzionalità di una biblioteca nazionale?» domandano i lavoratori. Non sarebbe una novità. Al terzo piano sono stati già trasferiti gli uffici dell’Icar e del servizio per i diritti d’autore. Per la Rsu il nuovo trasferimento «rappresenterebbe la fine di qualsiasi futura prospettiva non solo di rilancio della Nazionale, ma di sopravvivenza di uno dei pochi servizi pubblici ancora totalmente gratuiti».

Il risiko dei piani

Gli uffici estranei al ciclo di «lavorazione del libro» azionerebbero un risiko di spostamenti. I dipendenti del terzo piano verrebbero spostati al secondo che ospita il servizio di catalogazione per autori. Gli uffici sono disposti in stanze comunicanti come scatole cinesi. Dall’ultimo libro di Alberoni alla monografia su Renzi, da un tomo di logica matematica all’ultimo romanzo di Carlotto, in questo mondo di carta dovranno trovare uno spazio vitale almeno cinquanta persone. Tra pile di volumi in equilibrio sulle scrivanie oppure sul pavimento si intravede una bibliotecaria che alza il capo con espressione rassegnata. Fisso lo sguardo davanti allo schermo del computer cataloga uno dei 40 mila libri depositati in emergenza. «Sono solo quelli che ci sono arrivati negli ultimi due anni – sostiene – Per non parlare degli altri che arriveranno». Ogni anno in queste stanze passano circa 60 mila monografie. Una massa bibliografica sterminata che dev’essere gestita da poco più di 20 persone. Ci sono anni di arretrati, perché il personale oggi non basta. E non basterà domani, quando saranno andati in pensione, perché nessuno potrà essere assunto a causa del blocco del turn-over. Il secondo piano è uno dei cuori pulsanti della Nazionale. È qui che il ciclo del libro prende vita. Dietro le ampie finestre a giorno, mani esperte e occhi dietro lenti spesse cercano un ordine che verrà dato dalla catalogazione per soggetto e dalla decimalizzazione, fatta cioè su una base numerica decimale che rimanda ad un soggetto specifico. Senza questo lavoro, nessuno potrà trovare un libro o una rivista nei dieci piani di deposito. Domani, oltre ai libri, questo piano diventerà un deposito anche di esseri umani. I lavoratori non lo accettano e hanno scritto una lettera di protesta al ministro dei beni culturali Dario Franceschini che domani dovrebbe partecipare ad un’iniziativa alla Nazionale. Si dice che il trasloco sia stato deciso perché gli uffici della biblioteca sono scarsamente occupati. «È vero – rispondono i lavoratori – ma perché negli ultimi 15 anni siamo stati dimezzati dai tagli».

Quando lo Stato affitta a se stesso

Il trasloco della Direzione generale per gli archivi nella biblioteca nazionale non è solo una questione di uffici. È una partita molto più ampia che investe il mondo degli archivi e dei musei romani dell’Ente Eur, la società per azioni che gestisce l’archivio centrale dello Stato, il Museo dell’età preistorica Luigi Pigorini, il museo delle Arti e delle Tradizioni popolari, quello dell’Alto medioevo a rischio chiusura. Il Mibact guidato da Franceschini versa a questo ente, al 90% posseduto dal ministero dell’Economia e al 10% dal Comune di Roma, 4 milioni e mezzo di euro per mantenere aperti musei pubblici. È una carambola di partite contabili che ha una sola morale: pur avendolo «privatizzato», lo Stato paga all’Ente Eur – cioè a se stesso – un affitto per ciò che in realtà possiede. Senza contare che questi spazi sono semi-vuoti. «Perché allora si sceglie di lasciarli così, pagando 4 milioni all’anno, e di trasferire la direzione generale per gli archivi alla Nazionale?» domandano i lavoratori della Nazionale.

La beffa non finisce qui. Una volta trasferita la direzione alla Nazionale, lo Stato continuerebbe a versare i 4 milioni all’Ente Eur s.p.a. Invece di risparmiare, abolendo l’ente Eur e acquisendo i musei e gli archivi che gestisce, lo Stato esporta il suo caos in una biblioteca già asfissiata dai tagli. Dai 6 miliardi di lire versati nel 2000 dallo Stato per il suo funzionamento e l’acquisto dei libri, il fondo oggi è pari a 1,3 milioni di euro. Quasi un milione viene impiegato per pagare le bollette, 230 mila per la tassa sui rifiuti. Pagati al comune per un servizio che la biblioteca offre alla città di Roma. Se il sindaco Marino dispensasse la biblioteca, i soldi per la tassa servirebbero per acquistare qualche libro. Sarebbe un «risparmio» virtuoso. Al momento per gli acquisti vengono impiegati 60 mila euro, il costo di un database scientifico che la Nazionale non può permettersi.

Volontari in biblioteca

Domani Franceschini potrà verificare se quello dei lavoratori è allarmismo o una fondata preoccupazione per il destino della biblioteca. Se accetterà l’invito avrà modo di notare un altro dei prodotti dell’austerità nei beni culturali. Anche la Nazionale riesce a svolgere le sue attività grazie ai volontari, l’ultima risorsa visto che non ci sono più soldi per pagare appalti o subappalti alle cooperative. Alla Nazionale i dipendenti sono 203, in maggioranza 50-60enni. Sono affiancati mediamente da 130 tra volontari e stagisti. Ventinove di loro lavorano per la «A.v.a.c.a – associazione volontari attività culturali ed ambientali». Dallo sportello telematico del volontariato della regione Lazio, risulta che il responsabile legale è il vice segretario nazionale della Filp-Cisl, Gaetano Rastelli.

Questa associazione impiega 72 volontari nelle biblioteche romane. Alla Nazionale lavorano ad esempio nelle reception, nel grande atrio oppure davanti alle sale di lettura, nei magazzini o in uno dei depositi dei libri. Queste persone non possono essere pagate direttamente, sono volontarie appunto, ma ottengono un rimborso spese «a scontrino». Per mettere da parte 400 euro al mese per 24 ore di lavoro settimanale, raccolgono tutti gli scontrini possibili, quelli del bar della biblioteca ad esempio. Li presentano a fine mese per ottenere in cambio il loro magro salario. È la nuova frontiera del precariato: il lavoro a scontrino senza contributi. Questo è un altro modo che lo Stato usa aggirare il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, e non solo nei beni culturali.

Il mondo che non c’è più

I tagli al personale hanno ridotto l’orario di distribuzione dei libri. Fino alle 14,30 oggi è ancora possibile chiederne uno nelle sale, poi tutto si ferma. Dopo la ristrutturazione della biblioteca nel 2000 il sistema delle richieste e del trasporto dai piani dei libri è stato automatizzato. Il sistema è organizzato con i nastri trasportatori ai piani. A gestirli c’è solo una persona che dovrebbe muovere centinaia di libri per 11 ore al giorno, cinque giorni alla settimana. Un’impresa impossibile a cui si è dedicata con dedizione, accumulando 3500 ore oltre il normale orario di lavoro che recupererà prima di andare in pensione. Senza di lui, la «cabina di regia» si ferma. E la biblioteca torna all’analogico: i libri vengono caricati sui carrelli, messi in un ascensore e arrivano al banco, nella sala lettura dov’è stata fatta la richiesta.

Le ristrettezze hanno diminuito i controlli sulle porte tagliafuoco, due ascensori sono stati fermati perché mancano i fondi per la manutenzione. Nei magazzini c’è un impianto anti-incendio che toglie l’ossigeno. In caso di incendio, infatti, non si può gettare la schiuma chimica sui libri. Per far funzionare l’antincendio, in queste stanze non dovrebbe circolare l’aria, ma gli ambienti non sono sigillati e le finestre vengono aperte. In più ci dovrebbe essere il riscaldamento e raffreddamento 24 ore su 24 perché nei depositi c’è un’escursione termica che arriva a 20 gradi. Ma non ci sono i soldi per affrontare questi problemi elementari. L’austerità non taglia solo le persone, mette a rischio la memoria dei libri.

Corridoi scuri. Pavimenti scrostati. Umidità. Saliamo piano dopo piano con gli ascensori-montacarichi. E i piani sembrano lunghi chilometri. Dall’alto si vede la Sapienza, all’orizzonte i Castelli. Le finestre sono ampie ma oscurate da coltri di polvere. La luce sporca lascia i piani nella semi-oscurità quando il sole gira alle spalle della biblioteca. I lavoratori che ci accompagnano in questo viaggio dicono che mancano i soldi per cambiare neon e lampadine. Quando cala il giorno ai custodi capita di usare le torce per vedere il numero della catalogazione sui libri. Ci sono interi settori vuoti, in attesa che nuovi faldoni e libri vengano ricollocati.

Per i giornali italiani, stranieri, microfilmati oggi non c’è più spazio. Nel flusso ininterrotto di pubblicazioni che entrano nella Nazionale ci sono decine di edizioni locali della stessa testata. Moltiplicateli per 360 all’anno, tutti gli anni, e avrete un oceano di carta incontenibile. È uno degli effetti dell’obbligo del deposito legale: una copia di qualsiasi scritto pubblicato in Italia dev’essere archiviato nella biblioteca nazionale di Roma o di Firenze. Per contenere questa marea di carta è stato scelto di trasferirla in un deposito a Ciampino insieme agli elenchi telefonici, uno per tutte le province, e gli atti parlamentari. Il costo dell’affitto è di 100 mila euro all’anno. A Castro Pretorio ci sono spazi che potrebbero essere bonificati e funzionare come depositi. Costerebbe «solo» 300 mila euro che però non ci sono. Nulla di questo oceano di tomi, volantini, manifesti, pubblicità dev’essere perduto. Oggi di scarsa consultazione, domani potrebbe essere importante. È stato così, ad esempio, per gli statuti delle società operaie di fine XIX secolo. Allora erano semplicemente carte. Oggi sono documenti di rilevanza eccezionale. Niente è oggettivo in una biblioteca. C’è una vita segreta che con il tempo cambia il valore delle carte. E il superfluo diventa oggettivo. Qualsiasi testo trova il suo posto in questo mondo razionale. Bisogna archiviarlo, posizionarlo e come il vino un giorno fermenterà, trovando un senso.

Un tempo c’erano gli ascensoristi. Lavoravano insieme agli addetti alle caldaie. Era stato formato un gruppo operaio di falegnami, idraulici ed elettricisti assunti a tempo indeterminato. Sono andati in pensione all’inizio degli anni Duemila e non sono stati sostituiti. «Tutto questo mondo non c’è più», afferma un custode. Di loro sono rimasti due idraulici e un elettricista. Alcuni custodi si sono riciclati in ascensoristi o in caldaisti, dopo un breve corso.

Alla Nazionale vige l’autogestione in attesa di una morte per causa naturale. Resteranno milioni di libri. Soli. Un tesoro che dovrà essere gestito. Dagli ex lavoratori in pensione che, un giorno, faranno i volontari?