Ma davvero avete creduto che l’astuta Giorgia si sia fatta abbindolare da quella coppia di comici russi, Vovan e Lexus, che tanti considerano pedine nelle mani dei servizi di Putin e loro si risentono con un accorato «Non siamo spie»? Macché: «La presidente del consiglio l’aveva capito subito». Subito? «E certo». Alfredo Mantovano cerca così di parare l’arrembaggio dell’opposizione che reclama, ma probabilmente non otterrà, risposte dalla premier in sede di Copasir.

Il sottosegretario rompe per una frazione di secondo la consegna del silenzio e almeno a una domanda risponde, quella che lo interroga su quando il governo si sia reso conto della beffa. Poi però si rinchiude nel mutismo e sfugge alle domande sui punti deboli della sua versione.

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Tipo: perché il governo non ha rivelato niente dal 18 settembre a quando la lunga telefonata è stata messa in rete da Mosca, perché non lo ha detto neppure a fattaccio noto, anche solo per frenare la carica delle opposizioni. E ancora, perché il capo dell’Ufficio diplomatico Francesco Talò, vicino alla pensione, ha reagito con quel comunicato in cui si assume col capo cosparso di cenere tutte le responsabilità, anche quelle che spetterebbero alla consigliera che gestisce gli affari africani, Lucia Pasqualini. Misteri che, forse, il sottosegretario farà la grazia di illuminare nei prossimi giorni.

CERTO LA VERSIONE di Mantovano combacia ben poco con quella della coppia russa, che non si limita a respingere le accuse di commistione con gli ex Kgb di Putin ma spiega di aver preso contatti ed essere poi stati richiamati al telefono dalla premier in persona. Chi sia il «contatto» in questione però non lo dice, per «non mettere nei guai palazzo Chigi». Con tanto di passaggio tagliente come un rasoio: «Forse c’è un problema di sicurezza».

Tanto per citare en passant proprio l’accusa che l’opposizione muove alla premier: non tanto i contenuti del pur lungo colloquio, che in sé non sono né trascendentali né esplosivi, ma la falla nella sicurezza che la beffa mette a nudo. Certo al mondo tutto è possibile e nella politica italiana anche più che altrove. Non si può escludere del tutto che la premier abbia scelto questa strada rocambolesca per far sapere quel che pensa senza doversene assumere la responsabilità. Che già da un pezzo ritenga che sarebbe ora di risolvere intorno a un tavolo la guerra in Ucraina si sapeva, nonostante la retorica da comizio o da aula parlamentare. Ma credere al sottosegretario è davvero difficile.

Mantovano, del resto, avrebbe tutti i motivi per negare che la premier pensasse sul serio di parlare con l’autorevole africano interpretato dai due comici. Se nel mirino dell’opposizione c’è Meloni, in quello dei colleghi ministri c’è invece proprio lui, responsabile dei servizi segreti e dunque della sicurezza. Potentissimo, gelido e distante il sottosegretario non gode di grandi simpatie nel governo. L’occasione per sferrare un colpo tale da minare il suo potere è ghiotta. Il ministro degli Esteri Tajani, per esempio, difende sì la premier dalle cui parole non traspare altro che la linea del governo, ma picchia sulla sicurezza: «C’è stata superficialità e questo non deve più accadere».

NEL COMPLESSO, tra telefonate da commedia all’italiana, attacchi dell’opposizione come se la premier avesse rivelato essenziali segreti militari invece di aver semplicemente dimostrato che quel che i politici dicono in aula e quel che pensano non sono la stessa cosa, versioni di Mantovano che sembrano un arrampicarsi sugli specchi più che un colpo di scena, l’intera vicenda si è rapidamente avvitata nella farsa. Col risultato di perderne di vista l’aspetto politico, che invece c’è. Se anche al telefono ci fosse stato davvero un importante politico africano, sempre sarebbe suonata strana la loquacità eccessiva dell’italiana, quell’intimità esagerata, quasi un tentativo di ingraziarselo alla ricerca di una sponda in Africa per il suo fantomatico Piano Mattei. Quella petulanza è un segno di disperazione politica. Ma se anche Mantovano avesse ragione e la premier avesse trovato questa via molto traversa per protestare contro l’Europa il discorso cambierebbe di poco. Sempre di un annaspante segnale di disperazione si tratterebbe.