Fisco, pensioni, cashback, superbonus: la lista dei nodi irrisolti è lunga quasi quanto la legge di bilancio che il governo avrebbe dovuto varare oggi ma è slittata a giovedì. Però oltre non si andrà, che i problemi siano stati sciolti o meno. Ieri Draghi ha visto Salvini, oggi incontrerà i sindacati: i due ostacoli che rallentano la marcia sul capitolo pensioni. Ma l’approdo è già scritto, la fine è nota anche se tutti si sbracceranno per sostenere il contrario. Quell’approdo si chiama riforma Fornero. È a quella che Draghi intende tornare, perché quella è la riforma che aveva dettato l’Europa nella lettera dell’estate del 2011 firmata dallo stesso Draghi e da Trichet, presidenti entrante e uscente della Bce, e perché quella per Draghi è «la normalità». Come la ha definita lui stesso al termine del G20.

L’INCONTRO FRA IL PREMIER e Salvini è «lungo e positivo»: parola della Lega. «Siamo al lavoro sul Salva pensioni per evitare il ritorno alla Fornero», informa il leghista. Chiacchiere. La mediazione che Draghi è disposto, forse, a concedere, implica comunque il ritorno alla Fornero: quote a variazione annuale fino al 2024, per evitare lo scalone, però intervenendo sugli anni di contributi invece che sull’età, fissa a 64 anni. Riguarderebbe solo un pugno di lavoratori. I sindacati e lo stesso Pd chiedono un intervento più mirato. «Legare l’accesso alle pensioni a questioni di genere e condizioni di lavoro», sintetizza il ministro del Lavoro Orlando. Donne e lavori usuranti. Poco più che chiacchiere anche queste. L’obiettivo è la Fornero e Fornero sarà.

NON SI VIVE DI SOLE pensioni. Conte e Letta si incontrano, parlano di amministrative, del radioso futuro comune in cui sperano ma anche molto di manovra. Il M5S ha tante spine nel fianco da sembrare un cactus: la più acuminata è il cashback, uno dei cavalli di battaglia del governo Conte 2 liquidato da Draghi con due sprezzanti parolette, «carattere regressivo». Conte, e con lui tutto il Movimento, non ci stanno: «È una misura che può essere rivista ma è essenziale per contrastare l’evasione e incrementare i pagamenti digitali». Gubitosa, vicepresidente 5S, è anche più grintoso: «Draghi rispetti gli impegni: il cashback riparta dopo la sospensione».

NEPPURE sul Reddito di cittadinanza e sul ritorno alla Fornero, «che tante difficoltà di natura economica e sociale ha fatto registrare», Conte è tranquillo: molto meglio «graduare i prepensionamenti in base alla gravosità del lavoro»: è la proposta concordata con il Pd. Ma il problema più grosso, oltre al cashback, è il superbonus, «che contribuisce per 12 miliardi l’anno al Pil e per oltre 150mila unità all’incremento dell’occupazione». Lì c’è il problema delle ville e delle case unifamiliari. Il governo starebbe studiando una mediazione basata sul reddito: proroga per la ristrutturazione sì ma solo entro un dato tetto, ancora da individuarsi.

NESSUNO DI QUESTI capitoli è rilevante dal punto di vista degli stanziamenti. Sono politicamente molto significativi, chiamano in causa le bandiere dei singoli partiti, ma dal punto di vista dei miliardi il centro della manovra è da tutt’altra parte. Sul fisco, soprattutto, al quale andrebbero destinati 8 dei 23,4 miliardi previsti. Il pezzo forte è quello, l’orizzonte strategico si inizia a delineare con quella voce. Qui però le cose sono anche più complicate. Fi Iv e di fatto anche la Lega chiedono di aumentare lo stanziamento. Per Fi, anzi, proprio i fondi del cashback andrebbero convogliati tutti sul taglio delle tasse. Draghi e Franco hanno resistito in sede di cdm e resteranno fermissimi su quella posizione.

RESTA IN SOSPESO un particolare: come spendere quei miliardi. Lo stesso fronte Lega-Fi-Iv insiste per una taglio dell’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive. Draghie il ministro Franco mirano piuttosto a un taglio robusto del cuneo fiscale che, andando anche a favore anche dei lavoratori, potrebbe portare a un balzo dei consumi. In mancanza di accordo palazzo Chigi fa circolare l’ipotesi di un possibile congelamento del fondo per qualche settimana: intanto lo si stanzia, poi si vedrà prima dell’approvazione definitiva. È solo una minaccia e quasi certamente non avrà alcun seguito. Però rende l’idea di una tensione che non è, come al solito, tra le diverse esigenze dei famelici partiti ma riguarda soprattutto un modello di governo nel quale l’esecutivo, o più precisamente palazzo Chigi, decide e la politica tratta sui particolari necessari per provare almeno a salvare la faccia e fingere di avere un ruolo.