«La legge di bilancio sarà in parlamento entro la fine della settimana», annuncia su Facebook il ministro Federico D’Incà, giustificando il cospicuo e imbarazzante ritardo, per ora 21 giorni, con il «forte impatto economico» delle misure in discussione. Tuttavia le voci della legge di bilancio approvata «salvo intese» lo scorso 18 ottobre non cambieranno, il che permetterà di varare la legge senza passare per il consiglio dei ministri. Basterà la riunione dei capidelegazione. Poi la manovra sarà di fatto emendata solo dalla Camera e il Senato si limiterà a ratificare. Stessa procedura per i due dl Ristori, che saranno accorpati in un solo decretone votato al Senato e controfirmato dalla Camera.

I FONDI PER I DUE DECRETI saranno portati, nella legge di bilancio, da 4 a 5 miliardi. Nessuno si illude che bastino. Sarà necessario senza dubbio un nuovo scostamento di bilancio. D’Incà finge che si tratti solo di un’ipotesi: «Se fosse necessario, il governo sarà pronto». È già necessario, anche se non è ancora definito l’iter con il quale ci si arriverà, prima dell’approvazione finale della manovra, così come non ne è ancora stato definito l’ammontare. Al momento si parla di una decina di miliardi, che non verrebbero però proposti dal governo ma decisi dal parlamento, con voto congiunto di maggioranza e opposizione, nel corso del dibattito. In questo modo il governo da un lato risponderebbe alle pressanti richieste dei gruppi di maggioranza che insistono perché al parlamento sia restituito un ruolo, dall’altro acquisterebbe un po’ di sostanza il «dialogo» tra maggioranza e opposizione, che comunque, nel concreto, non andrà molto più in là di così.

QUELLA DI 10 MILIARDI è probabilmente una cifra sottosimata. Del resto una stima reale è impossibile. Molto dipende dalla solita formula maledetta: lockdown totale. Il premier Conte non si è ancora rassegnato. Cercherà in tutti i modi di evitarlo e, salvo impennate tragiche delle curve, non farà quel passo alla fine di questa settimana, come molti ipotizzavano ieri. Ma la situazione reale gioca a suo sfavore, i reparti degli ospedali scoppiano, i malati cominciano a morire nelle corsie senza neppure arrivare nelle terapie intensive, medici e infermieri insistono sull’impossibilità di evitare la chiusura.

La mazzata sarebbe pesantissima. A tutto il Paese dovrebbero essere corrisposti gli stessi aiuti garantiti alle regioni già in zona rossa. Lo scostamento dovrebbe andare ben oltre i 10 miliardi.

IN TEORIA NON SI TRATTA di un grosso problema. La situazione, grazie alla Bce, è tale da permettere di rivolgersi al mercato senza pagare lo scotto di tassi elevati. Al contrario, anzi. Ma il governo guarda a quello che succederà quando, dopo la pandemia, bisognerà tentare un nuovo rilancio.

Quello del trionfale terzo trimestre di quest’anno è di fatto vanificato dalla nuova crisi. I dati sulla produzione di settembre, usciti ieri, sono più che preoccupanti. Registrano una flessione del 5,1% su base annua e del 5,6% rispetto al mese precedente. Anche se i risultati del terzo trimestre restano brillanti si tratta di un arretramento tanto più allarmante in quanto verificatosi prima che arrivasse davvero la seconda ondata Covid. Solo i lockdown locali in corso, al netto di probabili allargamenti delle zone rosse, dovrebbe poi costare secondo alcune stime 19 miliardi, ai quali se ne potrebbero aggiungere altri 13 per gli effetti indiretti delle chiusure. Totale, 32 miliardi.

In questa situazione, il governo ritiene che, per tentare con successo un rilancio in primavera, sia necessario vantare massima credibilità sui mercati e dunque non aumentare a dismisura il debito.

Ma a decidere se sarà possibile o no contenere il nuovo deficit sarà, ancora una volta, il Covid.
La legge di bilancio dovrebbe essere il banco di prova di una possibile«collaborazione» tra maggioranza e opposizione. Per ora non è stato ancora deciso se procedere, come sarebbe logico perché molto più celere, con la conferenza dei capigruppo congiunta o con una vera bicamerale, ipotesi sostenuta da Forza Italia che mira a ottenerne la presidenza. Non è escluso che alla fine entrambe le vie vengano battute. Ma si tratterà di un segnale più simbolico che altro, perché a lavorare davvero insieme per battere la pandemia non ci pensano affatto né gli uni né gli altri.