La globalizzazione del nuovo millennio ha compiuto il suo primo giro. Dai centri più avanzati del capitalismo si è propagato nel mondo un interscambio di beni e di conoscenze che ha prodotto una delle più grandi rivoluzioni della storia dell’umanità. Masse enormi di popoli sono uscite dalla miseria.

Diventando produttori di beni di consumo e prodotti tecnologici, si è alimentata una corrente di circolazione che è partita dai beni e ha trascinato le persone, cominciata con la movimentazione fisica nei container, è proseguita con la circolazione di idee e conoscenze attraverso la rete.

Così, in pochissimi decenni, si è prodotta una mutazione negli equilibri di potere tra stati e nelle relazioni tra popoli che ha sconvolto quanto si era prodotto in secoli di storia dell’umanità.

In assenza di un governo globale di processi così radicali, velocità e dimensioni degli sconvolgimenti hanno prodotto paure e reazioni spinte alla riconquista di posizioni perdute. La migrazione degli esseri umani naturale conseguenza della circolazione di conoscenze beni e servizi ha messo in crisi il processo: la globalizzazione è positiva fin quando si limita a rendere più convenienti scambi di beni e servizi anche tramite l’abbassamento del costo del lavoro, ma diventa intollerabile quando trascina con sé masse di persone che pongono problemi nuovi di convivenza ed integrazione. Allora il processo e il sogno di un mondo aperto ed integrato si spezza, si torna a confini e dazi doganali, si riscopre il valore delle identità e delle differenze a scapito del valore unificante della razza umana.

In questa fase delicata, la storia si è presa la sua piccola vendetta e un viaggio in business class di un manager occidentale ha ospitato un piccolo ed invisibile virus da un mercato popolare dell’antica Cina a una regione avanguardia dello sviluppo capitalistico occidentale.

Nel nostro paese, un braccio che si allunga dal corpo dell’Europa verso l’Africa terminando con una Sicilia che può rappresentare un pugno chiuso per respingere o una mano pronta per accogliere, le contraddizioni del nuovo mondo esplodono.

-LA SCIENZA. Naturalmente è impreparata di fronte ad un virus nuovo, ma avvia subito un processo di controllo e di ricerca e dimensiona correttamente il fenomeno: in se non è molto pericoloso, ma è molto diffusivo, quindi va controllato. Alla politica la gestione di questo messaggio semplice e complesso nello stesso tempo.

-LA POLITICA Vive un momento di grande fragilità: crisi di rappresentanza, spinte a rinunciare a visioni e strategie, ricatto della comunicazione semplificata ed efficace che punta più sui sentimenti che sulla ragione, inseguita e tallonata dai nuovi professionisti della paura che usano tecniche dello spettacolo, tra tv e social. Una politica in crisi, spiazzata e succube delle leggi della società spettacolo.

-LO SPETTACOLO. Appunto. Che inchioda davanti allo schermo in attesa del prossimo contagiato, che crea ansia e paura, che spinge a correre a fare provviste. Conduttori creatori di ansia, direttori di giornali professionisti della paura che vivono di comparsate televisive per compensare i ricavi da vendite declinanti, politici di nuova generazione che creano senso comune influenzando il mondo della politica. E così la linea dell’eccesso allarme influenza il governo che ci casca, anche col suo capo, in genere più freddo e controllato, e la spirale dell’ansia si allarga. Affari d’oro per produttori farmaceutici e venditori di messaggi pubblicitari. Unico business che cresce. Mentre il resto dell’economia comincia a bloccarsi ed all’estero si diffonde il messaggio di una Italia i grave crisi.

-IL BUSINESS. A questo punto esplode la preoccupazione sui riflessi sull’economia. E allora svolta: abbiamo esagerato, nei controlli, nei numeri sfornati a ritmo serrato, nei messaggi diffusi. Quindi retromarcia. In testa gli stessi giornali ipersensibili al mercato: dal mercato della paura a quello della rassicurazione il passo è breve.

Avremo tempo e modo per imparare da questa crisi. Ma non so come ed i che tempi riusciremo a porre rimedio ai tanti guasti. Una lezione mi sembra chiara: la potenza di fuoco dei professionisti della paura è notevole. E la tentazione di difendersi diventandone succubi è forte.

Il terrorismo seminato ha fatto danni enormi. E non è solo Salvini il responsabile di questo disastro. E’ il salvinismo, è la tecnica del puntare sulle difficoltà e sui disastri per lucrare che ha fatto scuola tra tanti operatori della comunicazione. Per lucrare voti, spazi pubblicitari, successi sui social e autopromozione.
Berlusconi è declinato, ma i germi culturali e di degrado seminati hanno generato il populismo della nuova destra e Salvini è prodotto ancor più pericoloso del suo generatore.

La lotta contro Salvini e il salvinismo non è problema da lasciare ai ragazzi delle sardine ed alle piazze sporadiche che lo inseguono. Andrebbe condotta in tutte le sedi e in Parlamento in primo luogo. Contestandolo e contrastandolo tutti i giorni ed in tutte le occasioni. Rifiutandosi di farsene condizionare o di inseguirlo.

Dovranno capirlo i 5 Stelle. Dovranno capirlo un giorno o l’altro anche gli stessi ceti produttivi del nord. Salvini non è il futuro produttivo dell’Italia. Adesso si porrà alla testa dei movimenti di richieste di risarcimenti per i danni. Faremo la gara a chi promette di più? Ma i danni provocati dal suo allarmismo chi li pagherà? E quando, a sinistra, qualche leader che si spenda in toto per contrastare questa deriva? Complimenti invece al giovane Speranza. Non è un “competente”, ma sa ascoltare i tecnici, è un politico, ma sa resistere alle tentazioni del protagonismo. Non tutti i mali vengono per nuocere.