È questa forse l’eternità. Il mondo, a cui Nelson Mandela sfidando la pena di morte aveva aperto le vite e le menti dopo sanguinosi decenni di chiusure e censure, ieri si è inchinato a lui in un amalgama di sacro e profano. I credi religiosi e le militanze politiche di ogni colore, le classi sociali di qualsiasi ceto hanno consegnato questo figlio dell’Africa all’eternità. Lui che alla storia appartiene già da tempo e che i confini geografici e culturali ha già travalicato in vita.
In decine di migliaia da tutta l’Africa si sono riversati ieri mattina nello stadio Fnb di Johannesburg per celebrare con orgoglio il fondatore del Sudafrica libero e democratico e il faro di libertà dell’intero continente, insieme a capi di stato, delegazioni e diplomatici arrivati da ogni angolo della terra, leader democratici e dittatori. Dal Burundi alla Liberia, dallo Zimbabwe e dal Sudan all’Australia sino a Cuba, all’America Latina, all’Afghanistan, all’Europa e agli Stati Uniti. Una processione e un pellegrinaggio di vertici istituzionali – nel giorno in cui ricorreva anche il ventesimo anniversario del Premio Nobel per la Pace di cui Mandela fu insignito insieme a FW de Klerk – cui si fa fatica a trovare un precedente.
Gli autobus della Rea Vaya del trasporto cittadino di Johannesburg hanno cominciato il loro via vai verso lo stadio dalle prime ore del mattino. Già dalle 5, in tanti, avvolti nei colori e nelle bandiere dell’African National Congress (Anc) e con magliette e berretti raffiguranti Mandela, si accalcavano verso i tornelli dell’entrata urlando «bula, bula, bula», «aprite, aprite».
Sotto una pioggia battente, in una giornata grigia, ma solo per il colore del cielo, e tranquilla, la polizia sudafricana e quella cittadina, dopo le rispettive parate, non hanno fatto troppa fatica tuttavia a tenere in ordine la situazione. I cancelli si sono finalmente aperti alle 6:30 ingoiando una folla pacata e festosa che danzando e intonando inni di liberazione ha cominciato a riempire gli spalti dello stadio.
In coda anche molti arrivati dallo Zimbabwe, dal Ghana e da altri Paesi dell’Africa a testimonianza della riconoscenza della «coscienza africana» dovuta al primo Presidente nero eletto democraticamente e colosso di riconciliazione che risparmiò al suo Paese una lotta fratricida di cui il continente è invece tuttora vittima.
Lungo le transenne verso il tunnel d’entrata addobbate con i manifesti in giallo e verde dell’Anc con il volto sorridente di Madiba, cantano la nota Shosholoza o intonano l’Asimbonanga di Johnny Clegg. Mentre poco più in là un gruppo gospel si lascia andare sulle note dell’inno zulu, O’ Msinidisi, (salvatore).
«È triste che Tata non ci sia più. Il Sudafrica è un Paese migliore grazie a lui. Lo ricorderò sempre come un grande uomo di pace», ci dice Aphiwe M. di Soweto. «Uomo di pace e di riconciliazione» anche per Phillip K. del Sasolburg, nel Free State: «Era un combattente per la libertà. Sapeva che bisognava arrendersi o combattere. Ha scelto di combattere per un Sudafrica libero».
Canti e danze sono continuate anche all’interno dello stadio, in attesa dell’inizio della commemorazione ufficiale, tra l’odore di braii (barbecue) nell’aria e i venditori ambulanti abusivi sbattuti fuori dagli agenti dell’ordine pubblico per lasciare l’esclusiva ai soli autorizzati. Accanto ai cartelloni con la faccia di Madiba, i maxischermi trasmettevano la processione verso i posti a sedere dei vip politici e in coro la folla esultava nel coro in zulu Siyabonga Mandela, oooh Siyabonga Mandela, «grazie Mandela».
Nei sotterranei dello stadio un’altra folla, quella dei capi di stato in doppiopetto e degli sceicchi, dei turbanti e dei cappelli, si accalcava intanto verso gli ascensori per raggiungere gli spalti, in un via vai di autoblu e personale di sicurezza. Tra questi, fuori dal coro politico, anche Bono degli U2, Peter Gabriel, Naomi Campbell a l’attrice sudafricana Charlize Theron.
Tra i primi ad arrivare David Cameron, e via via Kofi Annan, Desmond Tutu e Jimmy Carter, questi ultimi tre in rappresentanza degli Elders – il gruppo di cui Mandela fu fondatore – e poi ancora Hollande e Sarkozy, Enrico Letta, George Bush, Bill Clinton e Barack Obama. Assenti gli israeliani Peres e Netanyahu. Ai posti d’onore la famiglia Mandela, tra cui nipoti e pronipoti, la moglie Graça Machel – nella sua prima uscita pubblica dopo la perdita di Mandela il 5 dicembre scorso – e la compagna di una vita, l’ex moglie con cui Mandela condivise anni di lotta politica, Winnie Madikizela Mandela. Le due si sono strette in un abbraccio commosso.
Intorno alle 11:30 è Cyril Ramaphosa, vice presidente dell’Anc, a dare inizio alla cerimonia con il benvenuto a tutti i presenti e scusandosi per la pioggia: «Era il nostro maestro e non ha mai rinunciato a noi per i nostri fallimenti. Il suo lungo cammino è finito, ma il nostro è solo all’inizio».
Inframmezzati dalle note del coro gospel del Joyous Celebration del Kwazulu-Natal, dai fischi per il presidente sudafricano Jacob Zuma e da continui «Lunga vita a Mandela», è iniziata la litania dei tributi ufficiali conclusasi con la benedizione di un Desmond Tutu combattivo che rivolto alla folla ha quasi estorto, con tono paterno e autoritario, la promessa «di seguire l’esempio» di Mandela.
Descrivendo Mandela come l’ultimo liberatore del XX secolo Barack Obama l’ha definito «un gigante della storia». «Come Gandhi, che guidò un movimento di resistenza. Come King, che diede voce potente alle rivendicazioni degli oppressi. Ha subito una reclusione brutale che ha avuto inizio al tempo di Kennedy e Khrushchev e ha raggiunto gli ultimi giorni della Guerra Fredda. Ha cambiato le leggi, ma ha cambiato anche i cuori». Il discorso del presidente degli Stati uniti è stato salutato dal pubblico con un lungo applauso.
Dirigendosi verso il palco per prendere la parola, Obama ha stretto la mano al presidente cubano Raul Castro – un gesto senza precedenti, un vero tributo a Mandela. «Ultimo simbolo di dignità e di lotta rivoluzionaria» per Raul Castro, presidente di Cuba dopo Fidel, acerrimo critico del regime dell’apartheid.
Per il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon: «Il Sudafrica ha perso un eroe, ha perso un padre. Era uno dei nostri più grandi maestri, ha insegnato con l’esempio. Ha sacrificato così tanto ed era disposto a rinunciare a tutto quello che aveva per la libertà e la democrazia».
«Un combattente per la libertà senza paura» lo ha definito Zuma, che ha anche annunciato che l’Union Buildings di Pretoria sarà ribattezzato Mandela Amphitheatre.