La caccia all’immigrato, la costituzione di ronde o di forme di «presidio dissuasivo» (la definizione da parte degli avvocati del sistema protettivo messo in atto dagli uccisori di un cittadino marocchino ad Aprilia), la riformulazione della legittima difesa in termini di licenza di uccidere, la violazione ripetuta e oltraggiante delle leggi internazionali del soccorso in mare, hanno un chiaro istigatore istituzionale: il ministro dell’interno Matteo Salvini.

Ciò mette il presidente della Repubblica di fronte a un serio e non rinviabile problema politico: la manifesta incompatibilità del titolare di uno dei più importanti dicasteri del governo italiano non solo con i dettami costituzionali, ma anche, cosa più importante, con i diritti inalienabili dell’uomo. Si tratta di un’incompatibilità ben più grave di quella tra Paolo Savona e l’adesione dell’Italia all’euro.

All’incompatibilità di Salvini con la propria funzione si associa la sua totale mancanza di equilibrio, la condizione psicologica necessaria per l’assunzione di cariche pubbliche. Lo squilibrio non andrebbe identificato con la sofferenza psichica grave, anche se le due condizioni possono ovviamente coincidere. Spesso le persone psichicamente sofferenti conservano, pur dilaniate, il senso di responsabilità nei confronti di sé e nei confronti degli altri. Il loro è un dolore che sa rispettare l’oggetto desiderato, anche quando desiderare è fonte di angoscia intollerabile.

L’equilibrio personale non è coerenza, disciplina, ordine. Richiede la capacità di tollerare e usare l’incoerenza, il disordine, la sperimentazione e l’attitudine a aspettare che il senso delle cose non prenda subito forma, che trovi configurazioni graduali, aperte alla trasformazione, feconde perché insature. Si giova grandemente della possibilità di sospendere il giudizio e l’azione, di far sedimentare le tensioni, piacevoli o dolorose che siano, di permanere nelle incertezze e nelle difficoltà dell’esperienza «gustativa» della vita, piuttosto che inseguire la certezza dell’appagamento superficiale, facile. Evita accuratamente la dissociazione tra il godimento e la sofferenza, si costituisce come saggezza fondata sulla loro relazione dialettica.

Salvini manca di equilibrio perché è una persona schematica, avulsa dalla complessità della vita che vorrebbe ridurre a formule votate a una semplificazione estrema. Soffre la profondità, la vive con un senso di impotenza. Quando è soggetto al dolore, lo sente come una complicazione irrisolvibile e cerca di disfarsene ottundendo i suoi sentimenti e rifugiandosi in una concezione epidermica dell’esistenza.

La sua logica binaria (buono/cattivo, amico/nemico, familiare/estraneo, forte/debole, pulito/sporco, possidente/ladro) è totalmente estranea all’etica, ma offre grandi vantaggi sul piano del calcolo e dell’agire cosiddetto «istintivo», il matrimonio dell’impulsività con l’automatismo.

Privo di passato, perché la Storia e la sua lezione vivente, consigliante apertura mentale e prudenza, gli è nemica, vive senza futuro immerso in fantasie onnipotenti di autosufficienza, schiavo del falso senso di sicurezza infuso in lui e nei suoi seguaci dalla ripetizione del medesimo che sostituisce il presente. A causa del suo modo di vivere e destinato all’hybris: l’atto di grave autoreferenzialità, di dismisura che, ignorando i limiti (il rispetto dell’altro come condizione della propria permanenza nel mondo), porta alla catastrofe personale, ma solo dopo avere seminato tragedie nella vita di tutti.

Il capo dello Stato può impedire che l’hybris superi l’irreparabile, il punto del non ritorno.