«Dai dati che abbiamo analizzato, che provengono da numerose fonti – come Istat, Crea e Ismea – emerge che le politiche di supporto al ricambio generazionale in agricoltura hanno effettti solo nel caso di un ricambio inter famigliare, quando un capo azienda passa la proprietà al figlio, che già forte della disponibilità di terra e di macchinari agricoli può accedere ai premi della politica agricola comune e grazie a questo continuare ad investire», dice Francesco Paniè. Ricercatore di Terra!, è l’autore del rapporto «Gioventù frustrata».

Quali sono le principali barriere all’accesso di nuovi giovani agricoltori?

La principale barriera all’ingresso è il capitale disponibile per acquistare la terra, che sia il risparmio proprio o un finanziamento da parte di una banca. Questa è un’enorme freno per tanti giovani che starebbero cercando, almeno questo sembra il trend, di avicinarsi all’agricoltura arrivando da altri settori. In Italia i terreni agricoli costano mediamente il doppio della Germania e il triplo della Francia. Secondo le indagini sul mercato fondiario svolte dal Crea oggi nel nostro Paese un ettaro di terreno si paga mediamente 21 mila euro, con una forbice che va però dai 54 mila euro del Trentino ai 7 mila della Sardegna. Il costo della terra per ettaro è il terzo al mondo dopo Olanda e Lussemburgo, ma anche negli affitti siamo i primi in Europa, questo a fronte di redditi – non solo agricoli – tra i più bassi in Europa.

Un’alternativa che proponete riguarda l’accesso alle terre pubbliche, che però è ancora limitato.

Gli enti locali nuotano in un mare magnum totalmente disorganizzato, per cui oggi è difficile pensare di poter garantire ai giovani che non hanno capitale e non vengono dalla professione l’accesso a terre pubbliche. I Comuni non hanno un censtimento aggiornato che qualifichi il buono stato di salute agricola dei terreni: magari sono pezzi di pietra o roveti. Occorrerebbe un buon censtimento nazionale su scala comunale delle terre che potrebbero essere date ad aspiranti agricoltori. Qualcosa di simile a quanto realizzato nel Mezzogiorno da Anci con il progetto Si.Ba.Ter. Dopo il censimento, la cessione andrebbe fatta non con la vendita ma con l’affitto a lungo termine: siamo contrari alla cessione delle terre pubbliche, che peraltro ha costi proibitivi perché anche con le agevolazioni date da Ismea sono molto vicini a quelli di mercato. Dietro la presentazione di un piano aziendale, che preveda una valorizzazione in chave agro-ecologica e non industriale, senz’altro questo permettere a tante ragazze e ragazzi di avere uno sbocco.

Tra le proposte contenute nel rapporto c’è anche quella di rendere meno oneroso l’accesso ai fondi del secondo pilastro, quelli per l’avviamento aziendale. Perché?

Oggi una delle principali barriere burocratiche all’accesso ai fondi del secondo pilastro, dove sono allocati i maggiori finanziamenti per il ricambio generazionale, è la richiesta al giovane che vuole fare il suo ingresso nel mondo agricolo deve aprire una partita Iva e ottenere la qualifica di Imprenditore agricolo professionale (Iap) in alcuni casi prima ancora di ottenere il contributo. Questo scoraggia i giovani. Chi viene da altre professioni si trova l’obbligo di diventare immediamente imprenditore e campare di quello, quando magaripotrebbe avere un periodo di adattamento per intraprendere la nuova professione con lentezza e gradualità e poi consolidarsi. Se lo si obbliga a qualificarsi immediatamente, questa è una barriera. Magari ci sarà da fare qualche controllo in più, perché non avvengono assegnamenti fittizi ai giovani a livello intra-famigliare, ma così non mettiamo barriere. Inoltre, siamo abituati a parlare della politica agricola comune come di una gallina delle uova d’oro, ma probabilmente i soldi sono distribuiti male o non sono così tanti. Non sembrano bastare, visto il trend: servono maggiori investimenti sul ricambio generazionale.