«Non sapevo che dopo Gianni e Enrico ci fosse anche un Matteo Letta. Bis. È il terzo fratello della famiglia. Ha cambiato il posto a qualche ministro, ha promosso qualche sottosegretario, ma alla fine il vero vincitore è Alfano». Pippo Civati, che negli ultimi giorni non ha fatto mistero di una (mezza) intenzione di non votare la fiducia al governo Renzi, è «arrabbiato», «Renzi sta facendo di tutto per farsi votare contro». Perché la nomina agli affari regionali di Maria Carmela Lanzetta, ex sindaca anticosche della cittadina calabrese di Monasterace, schierata con Civati, è arrivata a sorpresa, e anche a sfida. Come già fu per Filippo Taddei alla segreteria Pd. «Non ne sapevo niente. Del resto è il ’metodo Renzi. Gli faccio i complimenti per l’ampiezza di vedute, visto che ha nominato una donna che ha gli ha votato contro il direzione».

Ironia, sarcasmo. La mossa del resto è scoperta: il presidente ha nominato una donna-simbolo del variegato gruppo dei malpancisti civatiani. E per stopparei sei senatori (capofila Casson e Tocci) sbilanciati verso il no, con probabile finale di uscita dal partito. Un’uscita convergente, forse persino in un gruppo unitario, con quella dei quattro grillini in procinto di essere espulsi dal M5S. Uno di loro, Francesco Campanella, prende atto: «I civatiani? Più si allontanano dal Pd più si avvicinano a noi».

Civati invece ha convocato per domenica un’assemblea pubblica a Bologna. Invitati anche i grillini dissidenti. «Io voglio lavorare per rifare il centrosinistra. La maggioranza del Pd invece sta consegnando il paese a Berlusconi». E a chi lo accusa di tentazioni scissionistiche: «Se è vero che nessuna scissione a sinistra ha mai portato bene, ma nemmeno il governo delle larghe intese è un modello che funziona benissimo. E più che una scissione a sinistra, l’abbiamo già fatta a destra: questa maggioranza è garantita direttamente da Berlusconi. Ed è una maggioranza politica, per definizione di chi l’ha promossa». Ma è difficile che il deputato voti contro il governo, almeno la prima fiducia.

L’altra parte della minoranza Pd, che non ha dubbi sul voto di fiducia, è ugualmente perplessa sulla squadra di governo. Anche da questa parte Renzi ha lanciato qualche amo. La sinistra cuperliana capitalizza il bersaniano Maurizio Martina all’agricoltura. E il giovane turco Andrea Orlando che ’vince’ la Giustizia. Un’altra mossa furba, in realtà, e non molto amichevole: affidare le riforme che saranno nell’occhio del ciclone a un garantista di area di sinistra. Tradotto, una brutta gatta da pelare, nel governo che nasce – di fatto – da un accordo con Berlusconi.
La prossima settimana sarà la volta delle nomine di sottosegretari e viceministri, dove la sinistra sarà ben rappresentata, a stare alle voci di questi giorni. Intanto Gianni Cuperlo fa gli auguri: «Adesso servono i risultati perché il tempo delle parole si è consumato». Ma già annuncia un pressing per una rimessa a punto della macchina del partito: «Oggi ci troviamo con un segretario che si trasferisce a palazzo Chigi». Quella contro il segretario-premier è una polemica che va avanti dalle primarie. E che presto tornerà in auge.

Ma intanto c’è il governo da varare, e il suo programma. Se ne discuterà alla riunione dei gruppi lunedì prossimo. Per la sinistra il pericolo di un tecnico all’economia è scampato, almeno a metà. Sfumate le ipotesi più indigeribili (come il bocconiano Guido Tabellini), il prestigioso nome di Pier Carlo Padoan, già vicesegretario generale dell’Ocse e presidente dell’Istat, con inclinazioni dalemiane (è stato direttore di Italianieuropei), non tranquillizza gli animi di quelli che chiedono «una svolta radicale nelle politiche economiche». Anzi. Sul resto Fassina non nasconde le sue perplessità: «Non vedo un salto di qualità. E resta una fortissima preoccupazione per la scuola e per lo sviluppo economico», dove rispettivamente siederanno la segretaria di Scelta Civica Stefania Giannini e l’ex presidente dei giovani confindustriali Federica Guidi.

Presto ci sarà anche da fare i conti con Roberta Pinotti, ministra della difesa, fra le più entusiaste estimatrici degli F35. Uno dei nomi che meno piace anche a sinistra del Pd. Dove un Nichi Vendola che in mattinata si augurava di doversi ricredere, in serata è deluso e parla di «topolino partorito dalla montagna. «Non sappiamo qual è agenda di governo, la lettura della crisi e la strategia che si propone. Immaginavamo di essere stupiti da ciò in cui Renzi è maestro: gli effetti speciali. Ma non ci sono».