Di primo acchito, ma solo di primo acchito, si badi, il Museo delle Curiosità potrebbe richiamarla. Salvo poi dimostrare di non meritare sberleffi e ironie, man mano che il viaggio espositivo snocciola il suo percorso. Analisi sociologiche, stralci di antropologia del quotidiano, richiami a significati simbolici reconditi sfoderati passeggiando tra un reperto e l’altro risulterebbero fuori luogo. Perché qui, pilastro sul quale poggiano gli intenti del museo, «se la curiosità è madre della scienza, è anche principio del divertimento».
Altra differenza sostanziale rispetto al campionario di Mai più senza viene dalle epoche delle invenzioni, messe a punto, nella maggior parte, tra il Diciassettesimo secolo e gli inizi del Ventesimo. Quante sono in tutto? Un centinaio, si annunciano nuovi arrivi a settembre, scovate dal misterioso collezionista o dai suoi incaricati nelle fiere, nei mercatini, negli antri polverosi dei bric à brac. Ma, sovente, anche nelle cantine delle case private.

 

 

Lo racconta Cristina Ginesi, responsabile del museo fin dalla sua apertura «La vasca da bagno a dondolo giaceva in una cantina tedesca. I proprietari volevano disfarsene, e noi, dopo una serie di ricerche e di accertamenti sull’autenticità dell’oggetto, lo abbiamo acquistato. Lo stesso, in questo caso si è trattato di una donazione, è avvenuto per le scarpe delle prostitute greche».
Perdoni, Cristina: siete sempre sicuri che non si tratti di bufale? «Come le dicevo, prima di comprare o di accettare una donazione facciamo ricerche e analizziamo il pezzo per verificare che sia dell’epoca dichiarata. Questo ci permette di salvaguardarci dai falsi, che a volte sono pezzi creati non con la speranza di guadagnare soldi, ma per il piacere di vederli esposti nelle nostre vetrine».
La megalomania non conosce confini. Tentiamo, adesso, di produrre un catalogo esemplificativo del patrimonio custodito, pescando invenzioni di vario utilizzo. Nell’intimità del bagno e della camera da letto, oltre alla già citata vasca a dondolo, si incontrano i vasi da notte francesi, risalenti al ’700. Uno in particolare veniva regalato alla sposa il giorno delle nozze. L’interno reca la scritta «A la mariée», alla sposa, e sul fondo, finesse oblige, è dipinto un occhio, destro o sinistro, ma allusivamente del marito.

 

 

Restando in Francia, è dei cugini transalpini l’invenzione del bidet, 1710, pur se là non se ne fa uso. Il termine bidet indica anche il pony, e il battesimo dato al sanitario deriva dalla posizione durante le abluzioni, simile a quella assunta in groppa al pony. Di nuovo settecentesca è la doccia con pompa a mano, serbatoio e potente getto supplementare dal basso. Minaccia per l’igiene, restiamo ancora nel Secolo dei Lumi, era costituita dalle pulci, che amavano soggiornare nel tepore del corpo umano. Il problema lo risolveva una trappola per parassiti, soltanto all’apparenza prezioso pendaglio in avorio sul quale erano stati praticati minuscoli fori. Una cavità al suo interno nascondeva un batuffolo di cotone imbevuto di sangue. Le pulci, attratte dall’odore del sangue, entravano nel ninnolo attraverso i fori senza poter più uscire. In caso di pioggia e fango, le nobildonne veneziane di epoca rinascimentale salivano su zoccoli provvisti di suole alte mezzo metro. A sorreggere le dame provvedeva la servitù, oppure, più democraticamente, l’impiego di speciali bastoncini.

 

 

Vale la pena tornare alle scarpe per prostituta greca, fine ’800, primi ’900. Sul cuoio della suola portano inciso l’invito «Segui i miei passi». Gli uomini alla ricerca di incontri occasionali, occhi fissi sulla strada, rispondevano al muto ed eloquente richiamo delle impronte, che si fermavano davanti all’ingresso di un albergo o di una casa. Dall’ingegnosa e misteriosa Cina, in questo caso un vago profumo di Mai più senza si avverte, arrivano il copriunghie e l’orologio a naso, entrambi del secolo scorso. Il primo gadget era in uso presso i notabili e gli abbienti a protezione dei loro lunghi aculei. Al medesimo tempo rappresentava un segno di distinzione, poiché dimostrava che il possessore del copriunghie non campava di lavori manuali. Usanza analoga era rintracciabile, fino a metà del Ventesimo secolo, anche nel nostro Meridione d’Italia. Lì, impiegati e insegnanti, politici e possidenti, si lasciavano crescere a dismisura l’unghia del mignolo della mano destra. Quanto all’orologio a naso, il progettista coltivava i germi di una sottile perversione mentale. Lo conferma la didascalia a spiegazione del pezzo «Antico segnatempo cinese ad incenso, in legno laccato in nero. Ha la forma di un piroscafo fluviale a ruote. Il ponte viene rimosso per inserire sui supporti metallici un bastoncino d’incenso, formato da sezioni aventi un profumo diverso e la cui combustione dura un’ora circa. Il passare del tempo può quindi essere calcolato in base al cambiamento di profumo». A patto di non aver nient’altro di meglio da fare.

orologio a naso

 

Tutto entusiasma, stupisce, sorprende il visitatore occasionale. Nel caso, però, di Cristina Ginesi un quarto di secolo passato tra curiosità di ogni tipo rende lo sguardo più critico e selettivo. Dunque, Cristina, quali sono i pezzi che lei preferisce? La prima risposta, manco a dirlo, fa spalancare la bocca «Da mamma quale io sono, mi hanno colpito i pannolini per bambino in legno, tuttora in uso in Afghanistan, disegnati seguendo l’anatomia del neonato o della neonata. Trovo poi fantastica la tazza per uomini baffuti, sagomata con un supporto sul quale vanno ad appoggiarsi i baffi, che si salvano così dalla schiuma del cappuccino o dalle tracce di caffè. Recente acquisizione, in dono, uno dei primissimi esemplari di casco per la messa in piega. Il valore aggiunto è costituito dalle foto d’epoca che sono arrivate insieme al pezzo e documentano una pratica di bellezza ormai del tutto scomparsa».

 

 

Come reagisce il pubblico di fronte a questo mondo di cose bizzarre? «Le reazioni e i commenti sono molto diversi, dipende dall’oggetto. In generale registriamo divertimento, risate, allusioni, battute. E restiamo a nostra volta colpiti scoprendo l’entusiasmo del pubblico per una collezione di scaldini. Tra di essi ci sono quelli «da corpo», progenitori delle borse dell’acqua calda, che si mettevano a diretto contatto con la pelle e si utilizzavano durante una passeggiata o una lunga sosta all’aperto». Personalmente dobbiamo confessare di non essere riusciti a comprendere, malgrado la didascalia, il funzionamento degli occhiali settecenteschi per correggere lo strabismo «Questi occhiali in celluloide ed acetato hanno, all’interno del finto bulbo oculare, dei prismi che rifrangono la luce».. E allora? Dicono che la notte, nelle sale vuote del Museo delle curiosità, si aggirino strane presenze. Si fermano davanti alle vetrine e commentano «Mica male questo, caro Leonardo», «No, niente male, caro Guglielmo». Poi, da Vinci e Marconi proseguono la visita, di cui potrete avere prezzi e ragguagli telefonando allo 0549/992437.