«Io resto in attesa. Sono ferma al 5 marzo 2012 quando mio figlio Matteo è morto schiacciato da una struttura che pesava tonnellate al Palacalafiore di Reggio Calabria, mentre si stava allestendo il palco per un concerto di Laura Pausini». Da quel giorno Paola Armellini chiede nuove leggi per tutelare gli operai dello spettacolo costretti a svolgere un lavoro in condizioni di scarsa sicurezza. Sul sito change.org, ha lanciato la petizione «Sicurezza per gli operai degli spettacoli live: mai più morti sotto i palchi!» che ha raccolto più di 15 mila firme in una manciata di giorni. L’appello è rivolto alle massime cariche dello Stato e al ministro del lavoro Enrico Giovannini.

Quali sono le proposte principali dell’appello?
In primo luogo la definizione di una normativa contrattuale specifica per chi lavora nello spettacolo live. C’è poi l’obbligo della copertura assicurativa a carico del committente o del datore di lavoro. E la verifica dell’idoneità delle location che accolgono le mega strutture dei concerti. L’anno scorso il Prefetto di Roma aveva preso posizione: i progetti devono essere presentati in tempi utili per essere controllati. Oggi non se ne parla più.

Perché lo spettacolo dal vivo è un sistema a scatole cinesi?
Questo mondo funziona sul sistema degli appalti e dei subappalti. Al vertice c’è una produzione che appalta il lavoro a cooperative o società. Queste ultime subappaltano ad una rete di fornitori. Le società di produzione, i promoter, i service e le cooperative di gestione dei tour oggi formano una rete talmente complessa che il vertice della piramide spesso non sa cosa fa la base. E viceversa. Per questa ragione chiediamo l’introduzione dell’obbligo di prendere i nominativi di chi sta sul cantiere.

Che cosa s’intende per «gigantismo» in questo mondo?
Quello dei concerti è un business milionario. Il mercato della musica è forse l’unico in attivo oggi, impone ritmi frenetici e palchi sempre più grandi e tecnologici. Oltre al guadagno, questo gigantismo porta al risparmio sulla sicurezza dei lavoratori. Visto che la sicurezza costa, si preferisce risparmiare sulla manodopera. Io non dico che bisogna fermare tutto, ma che bisogna controllare i turni e distendere i tempi affrettati della programmazione.

Che cosa intende per «sicurezza»?
In questo settore la sicurezza è particolare. Talvolta incrocia quella dell’edilizia, ma la normativa dev’essere più specifica. Il lavoro degli operai dello spettacolo, molti dei quali operano in altezza, dev’essere considerato un lavoro ad alto rischio. Bisogna regolare i turni e non renderli illimitati com’è accaduto a Matteo che il giorno prima di Reggio Calabria era ad Ancona. La sicurezza non è data solo dai guanti o dal caschetto. È un sistema molto più complesso: bisogna dare più mezzi all’ispettorato del lavoro, permettere alle Asl di intervenire 24 ore su 24. La sicurezza è data anche dal controllo sulla qualità del materiale e delle strutture. Basta una vite avvitata male come nel meccano e tutto può crollare. La sicurezza è anche un fatto culturale e interessa chi lavora in prima persona. Ma parliamoci chiaro: c’è la paura di perdere il posto e questo fa sì che tutto resti sempre uguale.

Quale potrebbe essere il contributo degli artisti?
Si dice sempre che i cantanti non c’entrano niente con i crolli dei palchi. Certo loro non si occupano degli operai, ma qualcuno dovrà occuparsi del sistema dove lavorano anche loro. Come genitrice io gli chiederei: avete figli? Ogni vittima è un figlio, sia sul lavoro sia in guerra. Se i cantanti danno valore alla vita, non possono continuare a scegliere le mega-strutture come se fossero un bel vestito da comprare solo perché è stupendo.

La petizione ha ricevuto risposte fino ad oggi?
No. Sono parecchio avanti con gli anni, ma finché avrò vita continuerò questa battaglia. Ripartirò ogni mattina perché non c’è più Matteo. E non lo faccio perché sono una madre addolorata, ma per le ingiustizie che sono seguite dopo la sua morte. Non voglio oboli, ma voglio la giustizia che spetta ai cittadini del mondo. Matteo era uno di questi e lui avrebbe voluto tutto questo.