Decenni di smembramenti e torture assortite dovrebbero aver insegnato ai giovani vacanzieri a non addentrarsi nel deserto americano o nei monti dell’Appalachia, a partire almeno dai tempi di Non aprite quella porta o Le colline hanno gli occhi. La formula di successo che si ripete fedelmente in molti degli horror-slasher a stelle e strisce viene rilanciata anche dal film vietato ai minori che ha incassato di più nella storia australiana: Wolf Creek di Greg McLean, del 2005, con John Jarratt nei panni del sadico serial killer Mick Taylor.

 

 

É a distanza di otto anni, nel 2013, che esce il sequel Wolf Creek 2, arrivato però nelle sale italiane solo pochi giorni fa dopo essere stato presentato fuori concorso a Venezia 70. Come nel suo predecessore, Wolf Creek 2 è ambientato nell’Outback, il deserto australiano, dove si trova il Wolf Creek National Park, meta turistica causa delle sventure dei protagonisti. In questo caso una coppia di turisti tedeschi – Rutger e Katarina – presto intercettati dal rude cacciatore di maiali Mick Taylor, vestito con camicia a scacchi d’ordinanza, che avevamo visto in apertura del film freddare due poliziotti che l’avevano sbeffeggiato dandogli del redneck incolto.

 

 

Come per i suoi cugini statunitensi, vale infatti la regola per cui questo genere di film ad alto livello di gore e sadismo funzionano solo in presenza di una certa dose di ironia, in Wolf Creek 2 concentrata nell’amor proprio e patrio del protagonista, che più avanti nel film sottopone addirittura Paul – un ragazzo inglese giunto in soccorso di Katarina – ad un quiz sulla storia australiana in cui ogni risposta sbagliata corrisponde all’amputazione di un dito.

 

 

E vale anche la regola aurea dell’horror che vuole il sequel più hardcore del primo capitolo, con un ritmo più serrato ed un maggior numero di omicidi, possibilmente ancora più violenti. Ma il punto di forza del pur non memorabile Wolf Creek stava invece proprio nella preparazione alla violenza, nella tensione che si accumulava per circa un’ora prima che avesse inizio la mattanza vera e propria.
Forte del successo della sua creatura malvagia e priva di autoironia, McLean ne fa il protagonista indiscusso e vira verso un ancor più convenzionale sequela di assassinii efferati da cui, come da copione, nessuno può salvarsi in assenza di un’approfondita conoscenza del territorio che equipari quella del cacciatore.