«Solo veline, e veleni». Nel giorno in cui sui giornali rimbalza la notizia di una parte di Sinistra ecologia e libertà incamminata verso il futuro governo Renzi, le smentite fioccano. Spunta anche un corteggiamento da parte Pd a mezzo Laura Boldrini: dalla presidenza della camera si sposterebbe in un ministero, in cambio di un ingresso di Sel nella nuova maggioranza. «Ipotesi fantasiosa», sentenzia Nicola Fratoianni. Un renziano di rango corregge: Boldrini avrebbe chiesto un colloquio con Renzi, disponibile a un passo verso il Pd e a liberare la sua casella per fare spazio a Dario Franceschini, «che non può restare nel nuovo governo».

Nichi Vendola campeggia dalle colonne del Mattino: «Pronti a collaborare se arriva una svolta sociale». La Stampa dice il contrario: «Mai in un governo con una qualsiasi variabile antropologica del berlusconismo». E su Repubblica già si parla dello «spettro di una scissione», parola d’origine latina dal significato devastante, a sinistra. «Scissione? Alle nostre percentuali ormai dovremmo dire ’si scioglie», scherza un deputato sellino.

Scissione o «si scioglie», peggio mi sento. Le cronache parlamentari segnalano una corrente «migliorista» (capitanata dal capogruppo a Montecitorio Gennaro Migliore, ufficiale di collegamento con Renzi) e una corrente «greca» (rappresentata da Nicola Fratoianni, ultrà pro-Tsipras). E un documento anti-scissione che ieri qualcuno ha provato a far girare, ma che si è perso per strada per mancanza di firme. In mattinata a Montecitorio fa la sua apparizione Nichi Vendola per chiarire, una volta ancora: «Se lo schema resta quello del governo Letta, non esiste alcuna possibilità per Sel di sostenere Renzi a Palazzo Chigi. Io mi siedo a ragionare solo se si discute di sofferenza sociale e di diritti civili. Ed è impossibile farlo insieme a Giovanardi e pezzi del centrodestra. Il resto è fantapolitica».

Fantapolitica. E però il gruppo dirigente di Sel in questi giorni vive un vero travaglio. Quasi metà dei parlamentari ha votato contro l’adesione alla lista Tsipras decisa dal congresso di Riccione. La precipitazione della crisi di governo è piombata su una situazione già delicata. Per un eventuale governo Renzi i voti di Sel (37 alla camera, 7 al senato) non bastano a sostituire l’Ncd, che resterà uno dei pilastri del nuovo esecutivo. Ma se per Fratoianni la presenza di Alfano dimostra «che non cambia la natura della maggioranza, per vedere dei segnali di cambiamento dovremmo sentire parlare di reddito, di fiscal compact, di patrimoniale», per Titti Di Salvo «il tema non è Alfano, ma i contenuti che porta con sé. Al centro della discussione ci sono i temi delle cose che servono a far uscire il paese dalla crisi».

Sfumature? Non proprio. Anche perché il ragionamento sul Renzi I porta con sé una riflessione sul ruolo di Sel, che all’opposizione «non riesce ad aprirsi uno spazio, schiacciata com’è da Grillo», spiega la romana Ileana Piazzoni. «Ci sono compagni che con legittima passione spingono verso una strada ci porta via dal centrosinistra». «Verso una Rifondazione bis», chiosa Martina Nardi, già vicesindaco di Massa. «Che, non è il progetto originario di Sel, e cioè tenere aperta la partita del centrosinistra. Stiamo attenti a non finire nell’isolamento più totale» Dall’altra parte c’è invece chi pensa che quattro anni di opposizione aiuteranno Sel a recuperare voti a sinistra.

Ma gli scenari del dopo sono incerti (come quelli dell’oggi, del resto). E se il Renzi I rimanesse, nonostante tutto, l’ultima possibilità per tenere aperta la prospettiva del centrosinistra? O, per dirla ancora con Piazzoni, se fosse «l’ultima chiamata per un’idea di governo di un paese al collasso», si potrà davvero votare no? «Ma Renzi deve fare una proposta seria al paese. Per chiarezza: non vogliamo un ministero, anzi lo escludiam». Ciccio Ferrara, l’ex coordinatore e coalizionista convinto: «Renzi ha due strade: o continuare con il galleggiamento stile Letta o sfruttare la grande occasione di mettere al centro i temi sociali, del lavoro, dell’occupazione. Siamo disponibili a discutere di contenuti, non ad occupare poltrone insieme al centrodestra, o fare da semplici spettatori».

Possibilisti, sebbene scettici, contro impossibilisti radicali. Come Massimiliano Smeriglio, vicepresidente del Lazio: «Sarà difficile convincerci che il paese si cambia insieme ai responsabili della catastrofe. Sel è compatta e si vedrà all’assemblea di sabato». Dove il partito dovrà votare il sì definitivo alla partecipazione alla lista per Tsipras, dopo il buon esito dell’incontro fra Vendola e il leader greco, domenica scorsa a Roma. Il sì a Tsipras, nelle intenzioni di molti, è il no al Renzi I. Per altri non lo è affatto.