Con lei, raccontano gli amici, ha portato solo una piccola valigia e un sacco pieno di libri. Così il 14 giugno scorso la cineasta iraniana Mahnaz Mohammadi è entrata nella prigione di Evin, a Tehran, settore 209, quello sotto il controllo dei guardiani della rivoluzione, condannata a cinque anni per propaganda contro il regime. «Ho comprato dei libri di filosofia e un saggio che spiega come controllare la collera, da quando c’è al potere Ahmadinejad me ne sento soffocare» ha scritto il giorno prima su Skype la regista a un’amica che ha diffuso la conversazione in rete. Militante per i diritti delle donne, Mahnaz Mohammadi è accusata dal regime iraniano anche di spionaggio per una collaborazione con la Bbc (avrebbe prodotto i suoi documentari) che lei ha sempre negato. «La sola ragione della mia condanna è la mia battaglia per i diritti delle donne. Non vi rinuncerò mai finché non ci verranno riconosciuti. Oltre che una donna sono una regista, combinazione che in Iran basta a giustificare qualsiasi accusa».
Premiata nel mondo per il suo film Donne senza ombre, Mahnaz Mohammadi è da diversi anni nel mirino delle autorità di Tehran. In passato è stata processata per avere partecipato al film di Rakhshan Bani-Etemad Noi siamo la metà della popolazione, sulle proteste contro i risultati delle elezioni presidenziali nel 2009.