C’è una leggerezza spregiudicata nel dolore così sbarazzino di Cate, ragazzina non più bambina ma ancora non cresciuta, che ondeggia sulla corda tesa, e rischiosa, di una quasi adolescenza. È raro, rarissimo, se non impossibile trovarne di simili nel nostro cinema recente, forse perché questa soglia è una materia sfuggente, che si ribella per natura alle regole della sua rappresentazione. Invece Salvatore Mereu ci porta per mano, con passione e delicatezza, nell’universo del suo personaggio, Cate appunto (interpretata con allegria dalla molto brava Sara Podda), e della sua amica Luna (Maya Mulas, anche lei presenza forte), compagna di avventure e di segreti. Insieme volano leggere come farfalle nel mondo privo di magia degli adulti che le circonda ma che loro sanno reinventare magari con la complicità di una fascinosa strega.

Bellas mariposas, per il quale Mereu anche autore della sceneggitura, si è ispirato al romanzo di Sergio Atzeni (Sellerio), è uno dei film italiani più folgoranti di questa stagione, eppure non ha trovato una distribuzione così il regista ha deciso di farlo circuitare da sé (per le info sulle tappe del film: http://www.facebook.com/bellasmariposas). E c’è solo da arrabbiarsi di fronte a cose simili pensando alle lamentele sullo stato-delle-cose nel cinema italiano, quando per film così preziosi non c’è il minimo scatto da parte della distribuzione che finisce col privilegiare le cose «sicure» ( che poi dai risultati così sicure non sono).

Cate ha undici anni, vive a Cagliari anche se la periferia di palazzoni scassati e bande di maschi che spadroneggiano nei cortili è uguale a tante altre. Ha molti fratelli e un padre «pezzemmerda», tutti stipati nel piccolo appartamento. Per stare in pace Cate si chiude in bagno fantasticando di diventare una cantante famosa, e che il ragazzo della porta accanto, che le fa battere il cuore, si accorga di lei … Non vuole fare la fine della sorella rimasta incinta a tredici anni e nemmeno essere come Samantha la ragazzetta che un-po’- di sesso- non-si nega-a- nessuno. Poi un giorno scopre che il fratello Tonio vuole ammazzare Gigi, il suo amato. Che fare? Mereu ha girato in sardo, col ritmo della lingua di Atzeni, un dialetto mischiato alle invenzioni slang del quotidiano, velocissimo come i monologhi in macchina, ma tutti interiori nei quali Cate aggredisce il mondo e se ne difende. L’ironia pungente del suo sguardo cambia il segno alla rabbia, e alle ferite di genitori e «grandi» che la calpestano senza capire perché lei e Luna hanno il potere di sorridere alle nuvole, anche se forse ancora non lo sanno.

. La storia del film si srotola lungo una giornata, dalla mattina alla notte, che basta però a raccontare un mondo coi suoi conflitti e la sua durezza. Mereu però sfugge ogni retorica delle periferie violente (ha girato a Sant’Elia, quartiere «a rischio» di Cagliari), e predilige una cifra surreale, quasi trasognata. Senza lasciare mai il punto di vista dell’io narrante, Cate, nel flusso ininterrotto delle sue storie, Mereu inventa con la parola un cinema denso e appassionante, che è tempo, forma, respiro.[do action=”citazione”]La spiaggia, un gelato, una piccola truffa: come Celine e Julie sulla loro barchetta – e ci sono sapori nouvella vague nel film di Mereu, nel suo spirito giovane sfrontato e sognatore – Cate e Luna disegnano la scoperta delle loro emozioni nel paesaggio che le circonda[/do]

Le sue immagini volteggiano, corrono, si fermano, ci raccontano altre storie ma sempre soltanto attraverso le descrizioni della ragazzina: i vicini che fanno sesso a ore stabilite, la signora canterina, i pianti, le urla, il rumore continuo nel suo microscopico appartamento, le fughe del padre ossessionato dal sesso che lei becca a masturbarsi in bagno. Mereu tiene il suo sguardo fermo, e ci fa ridere, ci sorprende, ci attrae nelle epifanie del suo universo quasi fantastico eppure così ferocemente reale. Il cinema è qui, nel sorriso di Cate e di Luna, e in una ribellione che inventa il mondo.