Riccardo Magherini morì la notte tra il 2 e 3 marzo scorsi in Borgo San Frediano, dove si aggirava in stato confusionale, nel corso del suo arresto da parte di quattro carabinieri, ora accusati di omicidio colposo. Uno dei militari è accusato anche di percosse: in alcuni video lo si vede colpire Magherini con alcuni calci mentre il quarantenne fiorentino, già ammanettato, era stato trascinato a terra. Subito prima di essere schiacciato dai militari dell’Arma, con il loro peso, sul selciato gelido. Per lunghi, interminabili minuti. Fino a quando tre volontari della Croce rossa, accorsi sul posto con l’ambulanza e anch’essi indagati, cercarono di soccorrere quell’uomo steso a terra a torso nudo. Già morto per arresto cardiaco, come riscontrato anche dall’autopsia.

Nel giorno dell’udienza preliminare, quasi subito rinviata al 3 febbraio prossimo dal gup Fabio Frangini, è da Andrea Magherini che è arrivata la dichiarazione più rasserenante, nel tragico contesto di un processo per un omicidio che poteva e doveva essere evitato: “L’importante era partire – ha osservato il fratello della vittima – e la cosa più bella di oggi è stato vedere questo seguito, questo amore per Riccardo”. In quel momento, davanti all’aula d’udienza, c’erano una cinquantina fra amici e familiari della vittima. Fra loro Ilaria Cucchi: “L’affetto che circonda la famiglia Magherini darà loro la forza di andare avanti, perché lo Stato li lascia soli”.

Il rinvio deciso dal gup è stato motivato dall’acquisizione agli atti del processo di nuovi documenti medico-legali, sia da parte del pm Luigi Bocciolini sia da quello del legale dei carabinieri, l’avvocato Francesco Maresca. Fra i temi in discussione, su imput della difesa, c’è anche l’ipotesi che Magherini sia morto per una “excited delirium syndrome”. Una patologia connessa, ha sottolineato Maresca, dall’assunzione di cocaina da parte della vittima, riscontrata dagli esami tossicologici. Anche il pm Bocciolini ha depositato un documento: la memoria di un agente di polizia statunitense che avrebbe eseguito alcuni arresti di persone con l’ “excited delirium syndrome”.

Su questo ipotetico aspetto della tragedia, lo scetticismo della famiglia Magherini (“c’è voglia di non fare giustizia – dichiara il padre Guido – la procura ha lavorato solo sugli aspetti tossicologici”) trova conferma nelle parole di un testimone diretto. “Io in Borgo San Frediano c’ero – ricorda Matteo Torsetti – stavo andando da alcuni amici in un locale della strada. All’altezza del cinema Eolo c’erano dei carabinieri che cercavano di fermare una persona. Quando sono arrivato era in piedi, qualche minuto dopo in ginocchio. L’hanno ammanettata, e progressivamente spinta al suolo. Poi ho contato almeno cinque calci, alla testa, al busto, alla pancia, e un paio al volto. Quando ho visto i calci, ho urlato: ‘no, i calci no’”.

L’avvocato Massimiliano Manzo, che difende i tre volontari della Croce rossa – anche per loro c’era un presidio dei colleghi – anticipa la sua difesa. Semplice: “Quando sono intervenuti i volontari, Magherini era già morto. I carabinieri lo pressavano da dieci minuti. I miei assistiti hanno rispettato il protocollo, cercando di rianimarlo. Ci sottrarremo alla guerra medico-legale fra tossicologi, porteremo un nostro consulente anestesista”. Mentre Fabio Anselmo, legale della famiglia Magherini, tira le somme: “Ci dovrebbe essere lo Stato a fare questa battaglia, invece ci sentiamo soli. E siamo certi che se Riccardo non avesse incontrato i quattro carabinieri, oggi non saremmo qui”.