«Io non credo che ci sia un inciucio tra Berlusconi e la maggioranza…». Alle sette di sera il senatore Salvini prende insolitamente la parola in aula per dichiarare il voto su un emendamento. È un emendamento importante, oltre che poco congruente con il decreto che lo “ospita” che contiene la proroga dello stato di emergenza e altre misure di lotta all’epidemia. L’emendamento serve ad aiutare Mediaset. L’ha voluto il governo che però ha scaricato la responsabilità sul parlamento e sulla relatrice del Pd. In commissione, dov’è giunto martedì sera dopo un’ultima mediazione Pd-M5S, se ne parla come un’iniziativa dei ministri Gualtieri e Patuanelli. Nel decreto entra un articolo aggiuntivo (4-bis) che blocca una sentenza favorevole al colosso francese delle comunicazioni Vivendi nella guerra che da anni lo oppone alle tv di Berlusconi.

Una guerra di conquista, frenata dalla legge Gasparri ma riaperta da una sentenza recente della Corte di giustizia Ue, secondo la quale le norme italiane che frenano la scalata dei francesi sono contrarie al diritto europeo. La legge di conversione del decreto Covid prevede adesso che entro sei mesi l’Agcom potrà aprire un’istruttoria – che durerà altri sei mesi – per valutare «la sussistenza di eventuali effetti distorsivi o di posizioni comunque lesive del pluralismo» riferite a soggetti che operano «contemporaneamente nei mercati delle comunicazioni elettroniche e in un mercato diverso ricadente nel sistema integrato delle comunicazioni». È proprio il caso di Vivendi, detentrice di una quota rilevante di Tim.

In commissione il centrodestra si spezza. La Lega vota contro l’emendamento, accompagnando il no con un intervento molto duro del senatore Grassi, civilista eletto dai 5 Stelle e passato un anno fa con Salvini. I leghisti si sentono in fuorigioco perché a ora di pranzo Berlusconi è comparso al Tg5 recando un doppio ramoscello d’ulivo. «Dobbiamo smettere di litigare – spiega il Cavaliere – dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare seriamente, tutti insieme. So bene quanto sia difficile governare un’emergenza così complessa e non rivolgo facili accuse a nessuno, tanto meno al presidente del Consiglio». Ad Arcore il partito è in crisi, ma l’azienda resiste. Il messaggio arriva chiarissimo soprattutto al Pd. L’emendamento si fa strada e la politica ricomincia a girare. Zingaretti accoglie e rilancia la proposta di Tajani di nominare un doppio relatore per la legge di bilancio, legge in grande ritardo e affidata quest’anno alla sola camera dei deputati (il senato potrà solo ratificare a capodanno). «Credo sia una buona proposta, da accogliere», approva il segretario del Pd.

C’è la volontà di ascoltare il capo dello stato e c’è la necessità di abbassare la pressione sul governo, in grande difficoltà per l’avvitarsi della crisi pandemica. Ma dietro l’apertura di Zingaretti c’è anche il problema concretissimo delle camere, assediate dai provvedimenti di emergenza e dalle scadenze della sessione di bilancio, eppure chiamate a convertire entro natale il decreto immigrazione sul quale sono piovuti 1.500 emendamenti in commissione. Anche perché nessuna soluzione è stata trovata al problema delle assenze obbligate dei parlamentari positivi o in isolamento fiduciario e così i lavori parlamentari, oltre che intasati, sono continuamente a rischio per la maggioranza. Specie nel prossimo voto per un ulteriore scostamento di bilancio.

Per parlare di questo si sono dati appuntamento ieri sera la presidente del senato Casellati e il presidente della camera Fico. Provando a stringere su quello «strumento» di cui avevano parlato al Quirinale con il capo dello Stato: la conferenza dei capigruppo congiunta per favorire la «collaborazione» tra maggioranza e opposizione. Può essere quella la sede del tanto invocato «dialogo»? Casellati ha meno certezze di Fico, ma le strade alternative – comitati, commissioni speciali, commissioni bicamerali – sono ancor meno praticabili. Nell’attesa, sull’emendamento Mediaset il dialogo ha funzionato benissimo e per una volta è stato Berlusconi a dare la linea al centrodestra. La roboante dichiarazione di Salvini in aula, alla fine, è di semplice astensione: «Mediaset è una grande azienda italiana», dice con inconsapevole citazione, «poniamo un problema di metodo perché non ci piace l’emendamento notturno». Intanto il Cavaliere incassa.