Mai vista l’aula della camera votare a favore di un articolo di legge, approvare con un secondo voto anche il cambio del titolo per adeguarlo alle modifiche introdotte in commissione e poi, appena pochi minuti dopo, bocciare nel voto finale la proposta di legge che solo di quell’unico articolo era composta. La performance surrealista di Montecitorio sulla legge che voleva introdurre obbligatoriamente i casi di ingiusta detenzione nella valutazione disciplinare dei magistrati, però, ha una spiegazione molto pragmatica. Dopo l’approvazione a scrutinio segreto di un emendamento garantista di Forza Italia, infatti, il testo era diventato inaccettabile per i 5 Stelle e per il ministro della giustizia Bonafede, che pure lo avevano fino a quel punto sopportato. Così la Lega ha concesso agli alleati di buttare tutto a mare all’ultimo secondo, guarda caso negli stessi minuti in cui i presidenti grillini della prima e seconda commissione di Montecitorio decidevano di cedere al pressing leghista contro l’audizione dei rappresentanti della Sea Watch. Sia l’audizione che la legge sui magistrati erano in quota opposizioni. Sono saltate entrambe, tra le inutili proteste di Magi di +Europa, Migliore del Pd e Mulè di Forza Italia. E le altrettanto inutili richieste al presidente della camera Fico di garantire le minoranze.

Il problema per i giallobruni di governo è esploso nella votazione, a scrutinio segreto, di un emendamento del forzista Costa, anche primo firmatario della legge poi definitivamente affossata. L’emendamento mirava a contrastare un orientamento giurisprudenziale, in base al quale l’eventuale silenzio dell’imputato viene fatto valere come giustificazione dell’errore giudiziario che ha condotto alla detenzione illecita. La logica dell’emendamento era che il silenzio è un diritto di tutti gli imputati, colpevoli o innocenti che siano. Alle cinque e mezza di ieri pomeriggio Lega e 5 Stelle si sono presentati in aula a ranghi assai ridotti, con 75 deputati e deputate in missione e 41 assenti ingiustificati. Assai più presenti i gruppi di Forza Italia e Pd, ma a mandare sotto la maggioranza hanno contribuito una decina di franchi tiratori, metà dei quali verosimilmente leghisti: cinque i voti sicuramente mancanti dai gruppi di maggioranza: su 245 presenti i no all’emendamento sono stati 240 e i sì 242.

Ma altrettanti voti fuori linea sono certamente arrivati dal gruppo misto, dove siedono anche deputati ormai stabilmente in maggioranza. Il deputato di Forza Italia Sgarbi ha raccontato in aula di aver sentito il sottosegretario alla giustizia Ferraresi, il 5 Stelle che aveva inutilmente dato parere contrario all’emendamento, rivolgersi all’opposizione subito dopo la clamorosa approvazione, esclamando: «Finisce qui».
Invece non è finito ancora nulla. Perché dopo una congrua pausa Lega e 5 Stelle hanno trovato il modo di andare avanti, loro, fermando definitivamente la legge. La stessa legge che avevano sostenuto in commissione e per la quale avevano votato a favore anche in aula, ottenendo un’inconsueta unanimità qualche minuto prima di cambiare idea e bocciarla per sempre. «Questo non è l’asilo Mariuccia, non si fanno le cose per capriccio», ha protestato il Pd». Che però ha da rimproverarsi – nel voto finale che ha consentito alla maggioranza, tornata in forze in aula, di affossare la legge – anche lui un alto numero di assenti. Come Forza Italia: a conti fatti se le opposizioni fossero state al loro posto il voltafaccia di Lega e 5 Stelle non sarebbe andato a segno. Mancavano invece 44 rappresentanti di Forza Italia, 9 di Fratelli d’Italia, 8 di Leu e 25 del Pd. Dal gruppo dei democratici anche l’unica astensione sulla legge che avrebbe allargato il campo delle azioni disciplinari contro i magistrati: quella del deputato ex leader di Magistratura indipendente e protagonista dello scandalo al Csm, Cosimo Ferri.