A Bologna prima udienza preliminare del processo «Aemilia», il più importante contro la criminalità organizzata mai celebrato in Emilia-Romagna. Per capirlo bastano un po’ di numeri: 219 imputati, 200 avvocati, 250 agenti impegnati per garantire la sicurezza dell’aula, 189 diversi capi di imputazione. Si va dal 416 bis, associazione a delinquere di stampo mafioso, alla corruzione elettorale, per passare dall’usura, le minacce, il falso in bilancio, l’intestazione fittizzia di beni. Ce n’è abbastanza per tirare il classico e in questo caso salutare schiaffo in faccia alla società (e alla politica) emiliana, fino a pochi anni fa sicura di essere immune dal fenomeno mafioso.

Le indagini che hanno portato al processo hanno ricostruito la genesi di quella che i pm bolognesi hanno definito una mafia imprenditrice, arrivata in Emilia come propaggine della cosca ’ndranghestica di Cutro (Crotone) guidata da Nicolino Grande Aracri, e poi nel corso degli ultimi trent’anni diventata un’organizzazione autonoma capace di creare una propria rete economico-finanziaria, e in alcuni casi di influenzare anche la politica locale. Un sistema, quello ’ndranghetistico emiliano, capace di taglieggiare e minacciare se necessario, ma anche di inserirsi in silenzio nel tessuto economico per poi fare affari sulla ricostruzione post terremoto.

E’ il caso della storica e insospettabile ditta Bianchini di Finale Emilia, secondo l’accusa una copertura usata dalla ’ndrangheta di Cutro per incassare migliaia di euro al mese. Il tutto condito da minacce agli operai, straordinari in nero e lavoro domenicale forzato. Non solo economia e criminalità organizzata. Per i pm a favorire la Bianchini era il responsabile comunale dei lavori pubblici, dirigente che sulla ricostruzione post terremoto aveva in mano le vere leve del potere. Alla fine il sindaco di Finale Fernando Ferioli, che ha sempre respinto ogni accusa politica e che non è indagato, ha deciso di costituirsi parte civile nel processo, ma da qualche mese sui giornali locali si parla con sempre più insistenza di rischio commissariamento per il piccolo paese modenese.

Per contenere imputati e difensori è stata approntata un’aula speciale non in Tribunale, troppo piccolo per un maxi processo di questo tipo, ma direttamente alla Fiera di Bologna. Il risultato è che le prossime udienze preliminari, da qui a dicembre una trentina, saranno celebrate nei 3200 metri quadri del padiglione 19: 600 posti a sedere e impianti speciali di videoconferenza per permettere agli imputati chiusi nelle carceri di massima sicurezza di partecipare al processo. Tra questi c’è Nicolino Grande Aracri, fratello di Francesco, considerato dagli inquirenti della Dda di Bologna «un elemento di spicco della omonima cosca della ‘ndrangheta di Cutro». Proprio Francesco Grande Aracri nel 2014 è stato definito «una persona educata e composta» dal sindaco di Brescello Marcello Coffrini, altro Comune che ha deciso di costituirsi parte civile ad «Aemilia». Un corto circuito su cui Lega e Movimento 5 Stelle si stanno buttando a capofitto, chiedendo le dimissioni del sindaco.
In tutto sono state una trentina le richieste di costituzione di parte civile. Tra chi ha avanzato la richiesta, che verrà valutata dal gup Francesca Zavaglia entro la settimana prossima, c’è la Regione Emilia-Romagna, vari comuni di Reggio, Modena e Parma. Ci sono sindacati, come Cgil, Cisl e Uil, associazione di categoria come Fita-Cna e Confindustria anti-racket; l’ordine dei giornalisti, Legambiente, Arci, Libera, Avviso Pubblico, Sos impresa. Infine lo Stato con i ministeri dell’Interno, dell’Ambiente e l’Agenzia delle entrate. In aula alle 8.30 all’avvio dell’udienza preliminare ieri anche il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. «La lotta alle mafie e per la legalità è un pilastro delle politiche del nostro governo», ha detto Bonaccini. La Regione ha speso quasi 800.000 euro per garantire che l’udienza preliminare del processo «Aemilia» si tenesse a Bologna.

«Da oggi nessun amministratore o tecnico amministrativo può più permettersi di dire ’io non sapevo, io non immaginavo’», ha dichiarato l’assessore regionale alla legalità Massimo Mezzetti.
«Non basta dire ’Noi siamo l’Emilia Romagna’ per essere immuni da questa peste, nessuna regione d’Italia può ritenersi incontaminata», ha detto il segretario del Pd di Bologna Francesco Critelli. L’inchiesta «Aemilia», ha aggiunto Critelli, «serve anche a smascherare eventuali residui di ipocrita finzione. Le Autorità competenti hanno fatto molto, ora però tocca a noi, consapevoli che anche il Pd ha qualcosa da farsi perdonare».