L’Italia, notoriamente, è un paese di invisibili, e i diversi livelli di significato della parola «invisibile» ci stanno tutti. Quelli per scelta, come gli evasori totali e i latitanti, quelli che una scelta nella loro vita vorrebbero farla, in nome della dignità. Il Covid 19 ha, almeno parzialmente, scoperchiato un altro punto dolente nell’invisibilità sociale. Ci voleva il lockdown per far fermare quelle macchine complesse e fatte tutte di persone e professionalità interconnesse perché si tornasse a parlare di loro. Gli invisibili della cultura. In tempi «normali» uno va a teatro, per seguire uno spettacolo o un concerto, e ben di rado pensa che quando scende il buio in sala e ci si prepara a gustarsi un’emozione sono già state al lavoro per l’occasione decine di persone, altre stanno lavorando in silenzio e nel buio, molte altre ancora dovranno intervenire perché lo spettacolo vada avanti, il giorno dopo.

QUEL COMPLESSO mondo che non appare mai ha cercato di darsi una voce nei tempi del blocco. Ha gridato nelle piazze, con la mascherina indosso, trovando ben poca eco. Perché è stato escluso a priori da qualsiasi forma di sostegno economico, aggiungendo a quella che molto spesso è precarietà del lavoro, da acchiappare quando c’è, praticamente a ogni condizione, un preoccupante vuoto di proposte da parte del mondo della politica su un futuro che appare quantomeno nebuloso. Loro sono le «maestranze», e per una volta è bello che nella parola sia compreso quel senso letterale di «maestria» che fa sì che teatro e musica esistano. Maestranze è il titolo scelto dal regista e compositore Andrea Liberovici e dall’attrice Federica Fracassi per un programma appena inaugurato su Radiotre Suite, ogni sera in onda a partire dalle 20.15, e fino all’8 luglio prossimo. In ogni puntata Liberovici e Fracasso intervistano un «invisibile» della macchina dello spettacolo azzoppata dal Covid. Perché, spiega Liberovici: «Le maestranze, oltre alle loro fondamentali competenze tecnologiche e artigiane, al saper risolvere al volo problemi che il pubblico neppure sospetta esistano hanno, soprattutto, competenze umane: nel senso che “ogni teatro, senza retorica, è una grande famiglia in cui non esiste un capofamiglia, perché chi comanda è lo spettacolo, a cui tutti, ma proprio tutti concorrono.