«Una cantante di un altro pianeta», quando proprio non si sa cosa scrivere su di lei e sulla sua carriera, ecco ripetersi implacabile il refrain. Ora è la stessa Mina a giocare sullo stereotipo, a partire dal titolo impronunciabile Maeba del suo nuovo progetto discografico in uscita oggi (Pdu/SonyMusic) che entra di diritto nella chilometrica lista di album dai nomi sgargianti pubblicati finora, popolati di Rane supreme, Uiallalla, Caterpillar, Bula Bula.
Qui si discetta intorno al suo recondito significato: una principessa polinesiana il cui amore verso un pescatore era ostacolato dal padre di lei, oppure che sia la galassia aliena da dove arriva la bianca protagonista degli spot Tim con cui Mina è apparsa – ma solo in 3D per carità – anche sul palco di Sanremo?

Insomma entità aliena, ma con i piedi ben piantati per terra. Già, la presenza assenza della «madre di tutte le cantanti» non viene meno anche se le modalità promozionali sono un po’ cambiate, tanto che Massimiliano Pani – figlio, produttore e tra gli arrangiatori di tutti gli album usciti dal 1985 ad oggi – ci riceve per l’ascolto nei blindatissimi studi svizzeri, che per i mazziniani doc suona come una sorta di «gita alla Mecca»… La sala dove Mina registra e dove fanno bella mostra le macchine che hanno accompagnato le registrazioni nel tempo: «Sono veri e propri reperti d’epoca – spiega Pani – ci sono le strumentazioni analogiche e a nastri che utilizzavamo alla basilica di Milano fino al digitale odierno».

Una foto di Mina magrissima anni ’70 si staglia nel corridoio, insieme alle copertine e al microfono prediletto dalla «divina» da lei stessa laccato di rosso. Ammettiamolo senza vergogna, quasi si sfiora il feticismo…

 

Per il suo ritorno sul pianeta terra – quattro anni dopo i ritornelli estivi ma un po’ fragili di Selfie, sedici mesi dopo le nozze bis in ghingheri con il molleggiato e Le migliori – baciato da sei dischi di platino – Mina sceglie una strada non facile. Maeba è una raccolta di brani fuori dalla logica radiofonica – così come la intendiamo oggi – helzapoppin di generi il cui comune denominatore ancora una volta e sempre più, è la sua voce.

Classica e malinconica nel singolo che ha anticipato l’album, Volevo scriverti da tanto – funkeggiante in Argini tra «viaggi» e «anime perse nella notte» e capace di improvvise follie come quando prende il pezzo di Zoorama, cantautore napoletano – Il tuo arredamento – giocando sulle note in un saliscendi fra acuti e falsetti con una freschezza disarmante così da dimenticare l’età della signora che domenica raggiunge le 78 primavere. «Lei – spiega Pani – sa andare oltre le apparenze. Questa canzone che è arrivata con un provino chitarra e voce era una cosa completamente diversa, ma Mina ne ha colto il valore».

Arrangiamenti minimali con il gusto della citazione, Pani e Bongianni si applicano su Il mio amore disperato a riecheggiare Libertango di Piazzolla nella versione prodotta nel 1981 da Chris Blackwell e Alex Sadkin per Grace Jones. Un pezzo dai colori sgargianti che recupera una musica di Alberto Anelli – l’autore del suo storico hit L’importante è finire – e il testo amaro e ironico di Paolo Limiti, forse l’ultimo scritto prima della malattia che ha portato alla sua scomparsa meno di un anno fa, e che vogliamo immaginare come un omaggio della sua vecchia amica. Così come un omaggio sono le cover presenti nel disco, Last Christmas di George Michael in trio jazz e una magnifica Heartbreak Hotel di Elvis Presley cantata con un filo di voce.

Spazio anche per un duetto, tanto lontano nella vocalità quanto riuscito, con Paolo Conte che le regala A minestrina, in un impasto di italiano e napoletano dove i due istrioni raccontano una storia d’amore ageé, accompagnati da un trio d’eccezione formato da Massimo Pitzianti, Nunzio Barbieri e Jino Touche. «Questo per rimarcare – spiega Pani – come Mina concepisca i dischi, che hanno colori diversi. Questo pezzo ci è stato proposto da Conte che ne ha curato l’arrangiamento, un impasto di voci non canonico ma riuscito».

Sospesa tra passato e presente, Mina si misura in Un soffio con l’elettronica calda di Boosta – per la terza volta al servizio della signora – e ripesca un testo, forse l’ultimo scritto da Giorgio Calabrese, che si sovrappone alla ispirata melodia di Franco Serafini in Al di là del fiume, probabilmente il momento migliore del disco.
E a proposito di anniversari, cadono quest’anno i sessant’anni dal debutto di Mina, i cinquanta della Pdu, i quaranta dall’ultimo concerto a Bussoladomani, ma a lei poco interessa: «Non è che non le abbiamo proposto di allestire mostre o qualche evento, è che proprio non le piace celebrare il passato – chiosa Massimiliano – vive proiettata nel presente. L’evento live in studio nel 2001 era dettato proprio dalla sua curiosità per le possibilità della rete, è forse l’unica artista che ha un pubblico di acquirenti di dischi che va dai 30 ai 50 anni, gente che praticamente non l’ha mai vista dal vivo».