A cinque giorni dal fatidico 9N, data in cui il presidente catalano Artur Mas aveva promesso che i catalani avrebbero potuto votare sul proprio futuro, la situazione a Barcellona, invece di schiarirsi, si fa sempre più confusa. E i protagonisti dello scontro sembrano brancolare nel buio.

L’ultima puntata di questa saga iniziata un anno fa, quando 4 partiti catalani si erano messi d’accordo per trovare la forma di consentire il voto, è andata in scena ieri. Dopo aver sospeso la «consulta» indetta dal governo di Mas in virtù di una legge catalana sui meccanismi di partecipazione cittadina approvata a schiacciante maggioranza dal Parlament a fine settembre, il Tribunale Costituzionale ha accettato un ulteriore ricorso del governo di Madrid. Stavolta era per bloccare una «consulta alternativa» che il governo catalano era deciso a mettere in piedi. In sostanza, un atto comparabile a una manifestazione politica: nessun atto giuridico, nessuna lista di elettori, nessun funzionario pubblico, nessun locale del governo catalano utilizzato per celebrarla.

Si lasciava in mano a volontari, e alla buona volontà dei 911 comuni catalani (su 947 totali) che avevano votato mozioni a favore del referendum l’organizzazione pratica di questa pseudo-consulta. Il govern di Barcellona stavolta non si sporcava le mani con un nessun atto impugnabile da Madrid, ma Artur Mas poteva dire in Parlament pochi giorni fa: «Ho promesso urne per il 9N, e urne saranno». La guerra del governo di Rajoy era riuscita a spezzare l’unità dei partiti pro-consulta, ma questo escamotage era riuscito più o meno a salvare la faccia di tutti. Anche se Mas, recalcitrante, aveva dovuto ingoiare l’ultimatum dei soci di Esquerra republicana e delle associazioni cittadine che promuovono il referendum che gli chiedevano elezioni anticipate a stretto giro.

Nel piano d’azione del governo catalano però non era stato previsto che Madrid impugnasse un non-atto di una non-consulta. Di fatto, ci sono voluti molti giorni perché il governo prendesse la decisione dello scontro frontale anche su questo atto poco più che simbolico – e non è ben chiaro sulla base di quale atto giuridico. Gli unici «atti» che si menzionano sono una semplice lettera ai funzionari di Mas, la pagina web participa2014.cat e la pubblicità sulla partecipazione volontaria a questa votazione che secondo il governo e il Tribunale avrebbero lo stesso significato dell’indizione formale di un mese fa. Sta di fatto che il Tribunale Costituzionale, espressione dell’immobilismo più ostinato, all’unanimità ha sospeso cautelativamente anche questo tentativo di far votare i catalani.

L’unico spiraglio che ha lasciato il Tribunale è stato quello di non mandare un avvertimento a Mas sull’«obbligatorietà di rispettare le decisioni» dello stesso Tribunale, come aveva chiesto l’Avvocatura dello Stato. In teoria, ha cinque mesi per pronunciarsi sul merito dei ricorsi del governo – ma la sospensione può essere estesa senza limite se il Tribunale non fosse in condizione di emettere una sentenza. Con questa decisione, il Tribunale ha accettato anche il ricordo del governo contro un altro referendum, quello convocato dalle Isole Canarie il 24 novembre per chiedere ai cittadini la loro opinione sulle prospezioni geologiche a caccia di petrolio subacqueo. Il governo di Mas ha reagito in modo nervoso.

Dapprima con obiezioni giuridiche all’atto di impugnazione del governo e successivamente alla decisione annunciando una denuncia al Tribunale Supremo contro l’esecutivo di Madrid per «infrazione dei diritti fondamentali» dei catalani. Il portavoce del governo catalano Francesc Homs ha fatto sapere che in ogni caso il govern per domenica è intenzionato a «mantenere il processo partecipativo con tutte le conseguenze» e che «tutto è pronto», parlando di «abuso di potere» da parte di Mariano Rajoy. Di fatto, sono già più di 40mila i volontari che si sono messi in moto per garantire la possibilità di celebrare la «manifestazione cittadina» (come la definisce il Homs) di domenica nei seggi predisposti. Anche se nessuno sa esattamente cosa succederà.