Sarà capitato a tutte, almeno una volta nella vita, di incontrare il «cocco di mamma«, quel ragazzo (o uomo) che il legame che lo unisce alla genitrice non riesce proprio a superarlo problemi relazionali inclusi.Chissà se ci ha pensato Letizia Lamartire per questo suo film d’esordio, anche se la mamma e il figlio al centro della storia sono avvinti in un rapporto che sembra alludere a un amore – e a un reciproco possesso – molto più che filiali. Isabella (Barbora Bobulova) è una cantante, aveva esordito giovanissima all’inizio degli anni ’90 con un pezzo diventato subito una hit: Tic Toc. Poi è arrivato Bruno, il figlio (Alessandro Piavani), il padre che era pure il suo manager è sparito, lei se lo è tenuto contro i pareri della madre – con cui da allora ha rotto – e la sua carriera è rimasta lì. Tic Toc è diventato quasi un disco rotto che la donna ripete accompagnata dal figlio divenuto chitarrista (ma anche paroliere interessante seppure per sé stesso in cuffia) sul palco del locale di provincia davanti a poco pubblico distratto più concentrato sul proprio drink. Tra i due quello «responsabile» è, ovviamente, il ragazzo, si cura di lei, la porta a casa quando è ubriaca, sopporta i suoi umori e uomini di passaggio, rimedia alle sue distrazioni, corre (di nascosto) dalla nonna nella casa shabby chic in una campagna un po’ ghirriana – siamo intorno a Ferrara – per recuperare i soldi delle bollette spesi chissà come.

Suo malgrado (perché c’è anche insofferenza) è immerso nell’ambiguità – la stessa con cui la regista ce li presenta – di farsi credere qualcos’altro, amanti, lei un po’ più grande, lui ragazzetto, complici e gelosissimi su quel confine incerto di desiderio e paura di ammeterselo. Il riferimento è con evidenza La luna di Bertolucci, il tabù del sesso tra madre e figlio – l’incesto – l’attrazione che Lamartire suggerisce lasciandola in sospeso per tutto il film – compreso un finale aperto in cui sta a noi spettatori decidere. Ma nella Luna eravamo nell’assoluto del melò, qui il ritmo sono le canzonette a cui si contrappone la sonorità rock di una nuova figura femminile, scontro generazionale – sul palco – (la giovane e la vecchia) che mette in crisi anche la loro relazione.

Piuttosto che immergersi nella potenzialità della sua materia Lamartire decide di procedere seguendo una sceneggiatura (sua insieme a Marco Borromei e Anna Zagaglia, supervisione di Federica Pontremoli) in cui i diversi passaggi di un romanzo di formazione a due – che poteva essere pieno di sorprese – trovano soluzioni piuttosto prevedibili. Sperduto il ragazzo, schiacciato il povero aspirante compagno della madre (Massimiliano Gallo), e soprattutto odiose le donne, madre, giovinetta e pure nonna coi suoi moti un po’ acidi sotto la serenità delle giacche in stile indiano. Nei loro scontri e dichiarate furiose antipatie la regista aderisce a quegli stereotipi del «genere» (e del gender) più consumati, che per carità esisteranno pure ma nel renderli si possono pensare sfumature più audaci, sicuramente con un po’ di amore in più.