Nelson Mandela ha smesso di respirare alle 20,50 nella sua casa di Houghton, Johannesburg, accanto a lui la moglie Graça Machel e altri membri non precisati della sua famiglia. La notizia che sembrava potesse non arrivare più, da che è stata a più riprese imminente, l’ha comunicata il presidente Jacob Zuma a un Sudafrica attonito, che solo in teoria era da tempo pronto a riceverla, con un “richiamo ai valori per cui Madiba ha combattuto” e l’annuncio scontato del lutto nazionale, che si estenderà fino al giorno dei funerali di stato. Iperboli e superlativi rimbalzano già da una parte all’altra del mondo per ricordare un uomo di inarrivabile levatura.

Appena l’altro ieri la figlia Makaziwe Mandela aveva ripetuto quanto “forte”, “coraggioso” e prodigo di esempio fosse Mandela anche nelle sue condizioni, nel limbo terminale in cui giaceva da quasi sei mesi, ma l’accenno al “letto di morte” in cui si trovava aveva quasi scioccato il Paese.

Mandela aveva compiuto 95 anni il 18 luglio scorso e già questo era sembrato un mezzo miracolo, visto l’aggravarsi  delle sue condizioni un mese e mezzo prima, l’ennesimo ricovero per la recrudescenza dell’infezione ai polmoni che lo tormentava da tempo, i ripetuti annunci che lo davano in “condizioni critiche”, “disperate”. Poi le dimissioni dall’ospedale e il ritorno a casa tra i suoi cari, ma accompagnato da zero illusioni.

Se ne va l’eroe della lotta all’apartheid, bestia nera del regime razzista di Pretoria, il leader supremo dell’African national Congress, imprigionato per 27 lunghissimi anni durante i quali non ha mai perso la bussola, il senso del centro del ring, i tempi della difesa e dell’attacco,  irriducibilmente lucido e radicale nel suo rifiuto della vendetta come soluzione finale. Giustizia e riconciliazione, la sua miscela esplosiva è questa. Un fuoriclasse della politica del ‘900, un modello universale del contrasto a ogni discriminazione. Un modello di giustizia finalmente vincente, che va ben oltre i confini del Sudafrica.

Mandela lascia un Paese diviso e disilluso, con il potere, l’autorevolezza, la sostanza granitica del suo Anc che cominciano a vacillare paurosamente sotto la spinta degli scandali e delle diseguaglianze sociali, una triste realtà che neanche la vittoria di Mandela ha potuto sconfiggere. In questo senso sembrava fosse già morto da tempo, Madiba, ben prima della sua ultima apparizione alla fine dei Mondiali 2010, confinato nel ruolo di icona nazionale, di padre della patria, intrappolato nei panni del mito vivente e non più influente sulle sorti del sogno che aveva costruito. Ma una cosa era saperlo in qualche modo con noi, un’altra sapere che ora, come dice Obama in queste ore, è nella Storia