Artista americana di origine francese, Madeleine Peyroux ha esordito a metà anni 90 con un album folgorante, Dreamland, dove accanto a brani inediti spiccava una cover di La vie en rose in cui metteva in mostra tutte le sue qualità di interprete jazz blues pronta a raccogliere l’eredità di Bessie Smith, Billie Holiday e Edith Piaf. Careless Love (2004) la conferma come vocalist sensibile mentre Don’t Wait Too long – l’unico inedito firmato a sei mani c on Jersse Harris e Larry Klein – diventa un successo internazionale. Let’s walk è il suo nono progetto discografico – il primo dopo sei anni, in uscita il 21 giugno – ma soprattutto è il suo primo lavoro su etichetta indipendente – Just One Recording e Thirty Tigers. Uno spettro di stili decisamente vario – forse è il più cangiante dell’intera sua carriera – che spazia dal blues al jazz, dal gospel al soul arrivando persino al pop da camera e a ritmi latini.

L’impressione è che il suo disco precedente «Anthem» abbia messo in evidenza ulteriori aspetti della sua personalità, proponendo un’altra…Madeleine Peyroux. Quali sono state le riflessioni che l’hanno invece guidata nella realizzazione di questo album?

Anthem è uscito nel 2018, poi è scoppiata la pandemia. Non si è più viaggiato e soprattutto sono state sospese le esibizioni dal vivo. A questo punto ho dovuto riflettere su me stessa. La mia psiche è stata spesso influenzata dalla società che è fluida, cambia a volte in peggio, a volte in meglio. La chiusura dovuta al Covid mi ha costretto a riflettere ancor più sullo stato delle cose nel mondo. Ciò che ho iniziato a scrivere è stato portato avanti nello stesso modo, cercando di descrivere le verità che ho visto e che ho vissuto. In maniera anche dolorosa.

Il periodo attuale, dal punto di vista politico, culturale ed economico, non è certamente di facile lettura. Qual è la sua opinione su questi tempi pericolosi e soprattutto sul rischio di una nuova presidenza Trump?

La mia opinione è quella di ogni essere umano, di ogni artista alla ricerca della propria strada. È che siamo fatti per essere buoni gli uni con gli altri, che siamo umani e dovremmo sforzarci di trattarci a vicenda nello stesso modo in cui vorremmo essere trattati dagli altri. Credo che il denaro, la guerra, l’avidità e l’oppressione siano forze che cospirano. È mia convinzione che l’arte, la verità, la giustizia e l’amore siano il modo per costruire una comunità e il modo in cui gli esseri umani sopravvivono come specie. Penso di essere molto fortunata ad essere viva e ad aver sperimentato le cose buone che ho, ovvero l’amore e la comunità con gli esseri umani, soprattutto attraverso il potere della musica. Per quanto ne so, Donald Trump non ha mai mostrato alcuna empatia con queste convinzioni, e quindi non ha alcuna autorità su di me. Se dovesse riuscire a tornare alla Casa Bianca, dovrò trovare un modo per conciliare la «dissonanza cognitiva» che presenterà in quel momento, un giorno alla volta…

Lei ha iniziato la sua attività musicale come artista di strada? Quanto è stata importante questa esperienza nel suo percorso?

Rimane una parte di ciò che sono. La strada è uno spazio pubblico. Possiamo usare questo spazio per ogni genere di cose, usarlo per il bene, per la parte virtuosa dell’arte, per il desiderio neutrale di comunicare con la nostra umanità, significa essere illuminati ed essere incoraggiati a vivere! Non dimenticherò gli anni in cui ho militato in una band, un gruppo di persone con un obiettivo comune e raggiungibile insieme. La musica vive davvero in quel luogo dove tutto è proprietà comune. La strada è un buon posto per un concerto. Tranne quando c’è … troppo rumore….

In «Nothing Personal» affronta il tema della violenza contro le donne, in particolare della violenza sessuale.
Ho voluto parlare di questo argomento a causa della mia esperienza, ma anche perché sono così arrabbiata nell’apprendere che in alcuni luoghi lo stupro è ancora usata come arma di guerra. Dovrebbe esserci una discussione su come ciò sia dannoso non solo per gli oppressi e i sofferenti, ma anche per tutta l’umanità.

La traccia del titolo, «Let’s Walk», è stata ispirata dalla mobilitazione di massa della gente comune che si è sollevata e unita per i diritti civili in tutto il mondo nel 2020. Come è nata l’idea di questa canzone?
George Floyd è stato assassinato il 25 maggio 2020. La canzone Let’s Walk mi è venuta in sogno; avevo preso parte ad alcune manifestazioni per Black Lives Matter durante l’estate e le marce mi hanno ispirato quel brano. Era la risposta giusta, era universale, era buona. Non riesco davvero a capire perché la protesta pacifica sia materia controversa ancora oggi.

«How I Wish» è un risveglio alla ricerca dell’anima in risposta agli omicidi di George Floyd, Breonna Taylor e Ahmaud Arbery. La violenza razziale è una piaga che accompagna da sempre gli Stati uniti, ma non è un problema solo americano….

Mi diventa difficile rispondere ampliando la discussione su…scala planetaria. Se ci si volesse concentrare sulla realtà della questione razziale americana, sarebbe meglio, dato che la storia americana è quella più marcata dal punto di vista razziale, quella in cui i motivi del razzismo sono chiari e definiti. Sarebbe sicuramente un grande successo se le forze politiche e sociali si sforzassero di trovare una soluzione..

Esattamente vent’anni fa il successo internazionale con «Careless Love», che la catapultò sulla scena internazionale. Cosa ricorda di quel periodo e come lo collega al presente?

So che sono la stessa persona. Forse sono un’artista migliore, perché la…maturità mi ha permesso di sentirmi più a mio agio nel comprendere certe verità, anche scomode. Una cosa è certa: il mondo è più difficile da capire adesso.