Non è la prima volta che un poeta viene tradito da chi dovrebbe custodirne l’opera. La sorella Isabelle trasformò lo scandaloso Arthur Rimbaud nientemeno che in un «devoto». Allo stesso modo Mabel, amante del fratello Austin, pubblicò le poesie di Emily Dickinson dopo la sua morte cancellando volutamente il nome dell’amata Susan e trasformando così l’appassionata poetessa in una persona sola ed infelice. Risulta ancor più imprevedibile, pertanto, il ritratto della poetessa che la regista indipendente newyorkese Madeleine Olnek, nel suo ultimo lungometraggio queer Wild Nights whit Emily Dickinson, uscito in questi giorni nelle sale italiane, ci restituisce. Già dal titolo, ripreso da una celebre poesia della poetessa americana, si preannunciano notti selvagge e morbide voluttà dedicate da Emily all’amata Susan Huntington Gilbert alla quale dedicò trecento delle 1800 poesie che scrisse richiusa nella sua camera in quel di Amherst, una cittadina del Massachusetts. «Notti selvagge- Notti selvagge! Fossi io con te sarebbero notti selvagge, nostra voluttà. Via la bussola, via le carte. Remare nell’Eden. Ah il mare! Potessi appena stanotte buttare l’ancora in te!». Altroché reclusa e solitaria, quindi. Nella sua vita Emily Dickinson ebbe una intensa relazione con la cognata Susan, conosciuta ed amata sin dall’adolescenza. Basato sulle sue lettere private trovate dopo la morte in un baule, assieme alle poesie scritte su piccoli fogli, cuciti a mano a formare un libriccino segreto, il film presenta una donna audace e inaspettatamente divertente che la regista racconta con leggerezza e umanità.

Il registro della pellicola oscilla tra l’ironia e la dissacrazione e la scelta delle interpreti tra cui Molly Shannon, nota al pubblico per essere una comica, è coerente col tentativo di raccontare col sorriso l’intensità di una esistenza sinora nascosta dalle convenzioni sociali di una America puritana prima e da una cultura maschilista che ancora oggi imperversa ovunque nel mondo. Per la verità non è la prima volta che si parla della relazione tra Emily e Susan. Lo fece chiaramente Marta, figlia di Susan e Austin, che nel 1914 pubblicò un libro dedicato all’amore tra sua madre e la zia Emily. Nel 1998, inoltre, il New York Times pubblicò un articolo, col quale si spiegava che attraverso l’uso di un software capace di riesumare le parole cancellate nei testi antichi, era emerso il nome di Susan che risulta così essere la musa ispiratrice e forse l’amore più importante nella vita della Dickinson. Non l’unico. Sembra infatti che Emily abbia subito il fascino anche della giovane vedova Kate Anthon, compagna di scuola di Susan, che dal 1859 fece alcuni viaggi ad Amherst dove la conobbe. Di questi ed altri argomenti ne parliamo con la regista

In che modo questa verità altera la tua lettura delle poesie della Dickinson?
Ad essere onesti, la falsa immagine di Emily Dickinson di cui avevo sentito parlare da piccola, come una donna non amata, morbosamente ossessionata e che si nascondeva nella sua stanza, profondamente infelice e con il cuore spezzato – mi ha fatto scegliere di non leggere le sue poesie. Così, è solo quando ho sbrogliato la sua vera storia che ho scoperto le sue poesie e tutta la sua bellezza.

È evidente che non si tratta solo dell’ipocrisia dell’America puritana. Quali sono le ragioni, secondo te, che spingono ancor oggi l’America a nascondere la verità?
Concordo con la studiosa Martha Nell Smith secondo cui i sistemi di oppressione non sono mantenuti in atto attraverso la forza bruta, ma piuttosto attraverso l’uso del linguaggio. Il linguaggio plasma letteralmente il modo in cui comprendiamo il mondo. Quindi una donna che diventava una maestra della forma era una figura molto minacciosa. Molto meglio presentarla come una vittima e una martire che ha sofferto per la sua abilità invece che come una persona che ha provato grande gioia nella vita. Ancora oggi, la transfobica JK Rowlings – così convinta che tutti devono attenersi a una definizione ristretta di genere – si è assicurata che non fosse elencata come «Jennifer» sulla copertina dei libri di Harry Potter. Sapeva che se voleva vendere i suoi libri, il nome dell’autore doveva leggersi come se fosse una persona di sesso maschile.

Come sei venuta a conoscenza che quella della Dickinson era una narrazione falsa?
Nel 1998, quando lessi un articolo sul New York Times. Ma anche dopo, e fino alla prima del mio film negli Stati Uniti, avvenuta nel 2018, il mito di Emily Dickinson è rimasto tale e quale.

Per interpretare Dickinson ha scelto l’attrice comica Molly Shannon. Avrebbe potuto essere un rischio, si è trasformata invece in una scelta felice. Cosa conferisce la recitazione di Shannon a Dickinson?
Molly Shannon ha recentemente scritto una meravigliosa autobiografia intitolata Hello Molly. Nel libro parla della lotta di una vita intera di suo padre, di fede cattolica, per accettare se stesso: solo in tarda età si è dichiarato gay. Molly ha capito l’importanza di un film queer come Wild Nights e si è calata molto bene nel ruolo di Emily. Un’italiana di 86 anni che ha visto il film a Bologna si è meravigliata della scena in cui vediamo per la prima volta Molly nei panni di Emily, che cala con gioia dalla finestra il pan di zenzero per i bambini del vicinato. Ritengo che Molly abbia ripristinato l’umanità di Emily Dickinson. Molly è una comica e attrice molto amata e sapevo che se avesse interpretato Emily Dickinson, le persone avrebbero finalmente capito chi era.

Con questo film volevi alzare uno striscione a favore della battaglia lgbtq+?
Non solo lgbt+ ma anche per le donne e per coloro che vogliono scrivere e portare nel mondo il cinema e l’arte della poesia. Sono convinta che l’omofobia sia spesso causata dal fatto che le persone non capiscono che ci sono lgbt+ nella loro vita di cui potrebbero non rendersi conto. Questo vale anche per i personaggi storici che ammirano l’omosessualità che è stata cancellata dalla esistenza di figure brillanti della storia. Una giovane donna a Roma mi ha detto che avrebbe portato suo padre a vedere il film. Suo padre è molto conservatore e rifiuta le persone lgbt+, ma pensava di poterlo invogliare a vedere un film su Emily Dickinson. Anche se il film non facesse altro che dare forza a chi la pensa diversamente, ne è valsa senza dubbio la pena.

Il film è uscito negli Stati Uniti nel 2019. Come è stato accolto?
È molto difficile essere il primo in qualsiasi cosa, e io sono stata la prima persona a raccontare questa storia sullo schermo. Ci hanno accolti con molte critiche. Ci sono stati anche alcuni critici che mi hanno accusata di aver inventato la storia. Al contempo abbiamo ricevuto anche ottime recensioni, specialmente da parte dei giovani che hanno capito. Questa storia non è solo diversa da tutte le altre versioni di Dickinson perché include gli eventi reali della sua vita, ma anche perché gran parte del film è raccontata con le parole della stessa Dickinson.