Una grande kermesse tutta arancione, il colore della sua campagna elettorale costata ben 140 milioni di euro – in un paese dove il 90 % della popolazione sopravvive con meno di due euro al giorno – tingerà lo stadio di Antananarivo, la capitale, da 22 mila posti, tra due settimane, il 19. Così il nuovo presidente del Madagascar Andry Rajoelina intende festeggiare il suo insediamento.

CON LA SUA VOCE SUADENTE da disk jockey – il suo lavoro prima di entrare in politica – ha già dichiarato che intende comporre la squadra di governo «con 21 ministeri» subito dopo l’investitura, che vuole essere «il presidente di tutti», un presidente «federale», anche se non si sa bene cosa voglia dire in un paese con 18 diverse etnie, grande due volte l’Italia ma con la metà della popolazione, concentrata quasi unicamente sulle coste e nell’altipiano della capitale.

I malgasci lo chiamano Dj o Tgv, per la velocità con cui ha bruciato le tappe verso il potere. A 44 anni ha già alle spalle una esperienza da sindaco di una delle megalopoli africane, Antananarive detta anche Tanà, capiotale del paese, e una precedente presidenza conquistata nel 2009 con un colpo di Stato, un congelamento politico imposto dalla comunità internazionale per cinque anni di amministrazione transitoria prima della presidenza Rajaonarimampianinina, suo ministro delle Finanze, e di queste presidenziali, anni che hanno impoverito il paese e dissestato le istituzioni, già minate da una corruzione capillare che pone il Madagascar al 155° posto su 180 nella graduatoria di Trasparency international.

ORA RAJOELINA HA OTTENUTO la sua vittoria nelle urne, arrivando primo al ballottaggio con il suo rivale di sempre, il vecchio – 69enne – Marc Ravalomanana, lo stesso che aveva già spodestato con l’insurrezione del 2009 nella quale l’allora 34enne Andry, figlio di un colonnello dell’esercito, aveva a spalleggiarlo i militari.

Non ha ottenuto un plebiscito, solo il 55,66% dei consensi, circa dieci punti sull’avversario, ma con un’affluenza di appena il 48%, inferiore al primo turno del 7 novembre. E le accuse di frodi massicce – soprattutto compravendita di voti e registrazione con carte d’identità false – che sono arrivate sia dall’avversario sia da 120 associazioni della società civile, alla fine messe a tacere dal verdetto della Suprema corte costituzionale martedì scorso e dal plauso dell’Unione africana.

Avrà un bel daffare, il presidente Rajoelina. Negli ultimi dieci anni la popolazione si è molto immiserita: il reddito medio è sceso sotto i 63 dollari mensili. L’analfabetismo è passato dal 30% al 50.

La distruzione di ciò che resta delle immense foreste pluviali e secche per fare legna da ardere, carbone, per lasciare spazio a coltivazioni di riso e patate dolci per sussistenza o di vaniglia e caffè in mano ad aziende straniere e soprattutto per esportazione illegale di legni pregiati (ebano e palissandro) che vede implicati funzionari ministeriali e doganieri, sono tutte attività che non sono state contrastate. Così si è quasi dimezzato il patrimonio boschivo dell’isola negli ultimi sessant’anni e altri 90 mila ettari l’anno negli ultimi dieci. Il centro del paese, un tempo verde nei rilievi del satellite europeo Sentinel appare marrone, tanto che il ministero delle Foreste era stato indotto a varare un piano (Redd+) per tentare di salvaguardare gli ultimi 415 mila ettari di foresta, una delle 10 zone di biodiversità del pianeta, su direttive Onu 2030.

MA TGV-RAJOELINA avrà una grana ancor più grande da affrontare nell’immediato: un’enorme operazione di fish-grabbing. Soltanto due giorni prima di dimettersi l’ex presidente Hery Rajaorimampianina ha firmato un accordo commerciale con la Cina, già il primo partner economico del Madagascar. A margine l’Agenzia malgascia per lo sviluppo e il consorzio Tahie, che riunisce sette società cinesi, hanno siglato un’intesa del valore di 2,7 miliardi di dollari per lo sfruttamento decennale dei mari malgasci attraverso l’impiego di 330 enormi pescherecci da 14 e 28 metri con celle frigorifere ed elicotteri per individuare i branchi. Prevederebbe la “produzione” di 130 mila tonnellate di pesce l’anno – l’intero pescato 2016 – per il mercato locale e estero, naturalmente a prezzi imposti da Tahie.

«MANGEREMO SABBIA», hanno protestato i pescatori di Anakao. Secondo il Wwf l’intesa desertificherà le risorse ittiche malgasce, aumentando la povertà e provocando danni ambientali. In campagna elettorale Dj-Rajoelina aveva giudicato l’accordo «non del tutto legale», quindi rinegoziabile. Non fa ben sperare però il fatto che tra i primi commenti positivi alla sua elezione ne sia arrivato uno da Pechino che ricorda il rispetto degli accordi. Un auspicio che suona come una minaccia.