Una visione europea da un lato, una disputa nazionale in vista delle elezioni presidenziali dall’altro: la presidenza francese della Ue, presentata ieri da Emmanuel Macron di fronte al Parlamento europeo a Strasburgo, ha subito inevitabilmente i colpi della politica interna francese, tanto più che l’opposizione nelle ultime settimane ha fortemente criticato il fatto che il semestre non sia stato spostato alla seconda metà dell’anno, per evitare, appunto, il rischio di strumentalizzazione.

MA MACRON VUOLE fare dell’Europa il suo principale argomento di campagna, il nocciolo duro del suo elettorato è europeista. Così, tutto fa brodo: per mettere un velo pietoso sul voto problematico del giorno prima, dove il gruppo Renew, in accordo con il Ppe e S&D (maggioranza “Ursula” ma ora incrinata dall’entrismo dei sovranisti), ha votato per l’anti-abortista Roberta Metsola (Ppe), ieri Macron ha proposto «un rafforzamento» della Carta dei diritti fondamentali, «vent’anni dopo la consacrazione dell’abolizione della pena di morte», con l’aggiunta del diritto all’aborto e della difesa dell’ambiente tra i suoi principi, «un’attualizzazione della Carta per essere più espliciti».

La proposta, che sarà di difficile attuazione nei sei mesi di presidenza francese perché i meccanismi sono lunghi, è inserita da Macron nella centralità dello stato di diritto, «il nostro tesoro», che oggi deve essere difeso, «si tratta di convincere dappertutto popoli che si sono allontanati» (con riferimento implicito a Polonia e Ungheria).

NON È LA PRIMA VOLTA che Macron fa riferimento al «ritorno del tragico nella storia», dopo un periodo di fiducia nella costruzione europea: «Siamo la generazione che riscopre la precarietà dello stato di diritto e dei valori democratici». Macron ha insistito sulle «promesse» dell’Europa – democrazia, progresso, pace – ha impegnato la presidenza francese a promuovere i valori europei, «né il ritorno al nazionalismo né la dissoluzione della nostra identità sono risposte al mondo che viene». L’allargamento della democrazia passa anche per l’impegno di dare l’iniziativa legislativa al Parlamento europeo.

L’EUROPA DEVE ESSERE anche una potenza sovrana (che controlla le frontiere esterne, di qui la proposta di riforma di Schengen), che «non dipende da altre potenze»: il banco di prova sono la crisi in Ucraina e le relazioni con la Russia, mentre il segretario di stato Usa, Antony Blinken è a Kiev, Mosca non ritira le truppe al confine e Washington minaccia reazioni. «Nelle prossime settimane dovrà esserci una proposta europea su un nuovo ordine di sicurezza e di stabilità – ha detto – dobbiamo costruirlo tra europei, poi condividerlo con gli alleati nel quadro Nato, poi in seguito proporlo per un negoziato con la Russia», con cui deve esserci un «dialogo franco ed esigente», restando fermi sul fatto che ogni paese (l’Ucraina in questo caso) ha diritto di scegliere le proprie alleanze. Diplomazia, mentre la Ue è esclusa dal faccia-faccia Usa-Russia, ma anche forza armata: «L’Europa deve armarsi non per sfidare altre potenze ma per assicurare la propria indipendenza in questo mondo di violenze, per non subire le scelte degli altri, per essere libera». L’indipendenza è anche la forza economica, costruire campioni europei nel digitale, nell’energia. Stabilire un dialogo con l’Africa, a cui la Francia proporrà al vertice di febbraio una «nuova alleanza», che va dall’export dei vaccini a un new deal economico e finanziario.

MA DOPO I GRANDI DISCORSI, il terra terra ha preso il sopravvento: più di un terzo degli eurodeputati che sono intervenuti per interrogare Macron erano francesi. Attacco in piena regola

dell’unico candidato alla presidenza francese eurodeputato, il verde Yannick Jadot, che lo ha accusato di essere il presidente «dell’inerzia climatica». Manon Aubry (Left) ha ironizzato sul «Dottor Emmanuel che fa molte promesse e Mister Macron che ne frega dell’emergenza clima». Jordan Bardella, del Rassemblement National, ha attaccato sull’immigrazione. Fuori dall’aula di Strasburgo, Jean-Luc Mélenchon, ha visto «un uomo sfinito».

Paradossalmente, Macron non ha evocato il principale successo europeo, il piano di rilancio di 750 miliardi, che oggettivamente deve molto alla pressione della Francia. Ma su questo fronte si addensano nuvole, per rendere perenne l’indebitamento comune: anche se l’Olanda sembra aver rotto il fronte dei “frugali”, l’Austria non ne vuole sapere e in Germania il ministro liberale delle Finanze, Christian Lindner, resta ostile.