«Mi convince il fatto che si consideri un’aggravante la violenza nei confronti di un familiare, perché per troppo tempo la famiglia è stata sottratta alle sue responsabilità e questo anche nei casi di violenza sessuale. La dimensione familiare veniva quasi considerata un’attenuante, mentre la violenza contro un parente, una moglie, un figlio è invece ancora più grave, perché lede la fiducia nei rapporti e mostra un atteggiamento proprietario». Chiara Saraceno, sociologa conosciuta, tra l’altro, per i suoi studi sulla famiglia e sulla condizione femminile, giudica complessivamente in maniera positiva il decreto del governo contro il femminicidio anche se, spiega, ci sono dei punti che non la convincono. «Tra le cose positive ci metto anche le novità contro lo stalking, troppo a lungo sottovalutato. Perché non basta emettere un’ordinanza per impedire allo stalker di avvicinarsi alla vittima. Il fatto invece che uno sappia che può essere arrestato, va bene. Il quadro generale mi sembra dunque buono».

Quali sono invece i punti del decreto sui quali ha dei dubbi?

Ho due perplessità. La prima è la non revocabilità della querela. E’ un principio comprensibile ma rischia di essere un boomerang, per cui le donne che un tempo sporgevano querela anche se poi la ritiravano, adesso potrebbero non farlo più. In questo modo si perdono anche delle antenne importanti.

E la secondo cosa?

Va benissimo che l’aggressore sia allontanato da casa. E va bene anche la possibilità per le donne immigrate di avere un permesso di soggiorno, una misura in linea con la norma introdotta da Livia Turco per le donne immigrate che volevano uscire dal racket. Ma bisogna intensificare al massimo le misure a sostegno della case protette. In molti casi le donne non sanno dove andare.

Spesso si dice che un giro di vite per quanto riguarda le pene non risolve nulla, perché è il problema della violenza è soprattutto culturale

L’inasprimento di una pena è anche un fatto comunicativo. Poi sono d’accordo che un approccio puramente penale non basta, però non mi si può dire che è solo un problema culturale o morale. Occorre dire che fare del male a una persona è sempre sbagliato, fare del male considerando l’altro un essere inferiore è ancora peggio, nel senso che chi aggredisce ha una motivazione inaccettabile anche su piano giuridico e penale. E secondo me questo ha anche una funzione culturale. Poi certo, se si rimane soltanto al penale, non si fa contestualmente un’azione di educazione resta soltanto da mandare le persone in prigione.

Non si rischia di fare delle donne una categoria protetta?

Salvo che in guerra nessuno aggredisce un uomo perché è un uomo ed è considerato un essere inferiore. Mentre invece troppo spesso questa è la motivazione delle aggressioni contro le donne. Quando a suo tempo la moglie di Napolitano disse che non le piaceva la parola femminicidio, perché appunto si rischia di considerare le donne come una categoria, io ho capito cosa intendeva, però il problema è che viviamo in una società – ma non avviene soltanto in Italia – in cui troppi uomini pensano che donne – e soprattutto le «loro» donne -, siano una proprietà di cui fare quello che vogliono. Quindi è giusto considerare la violenza contro le donne come un’aggravante, perché è sbagliato trattarle così. Quando la legge Mancino ha stabilito che l’odio razziale è un reato, nessuno ha detto che facciamo degli ebrei o dei neri una categoria protetta.