Il monopolio delle soluzioni. Che aiuteranno, probabilmente, quasi solo i monopolisti. Di che si tratta? Se si parla di «soluzioni», in questi giorni, si è dentro il grande tema del coronavirus. Emergenza, che, come sanno anche i sassi, ha significato la chiusura delle scuole e delle università, prima in diverse regioni, poi in tutto il paese. Bene, come tamponare la situazione? Anche questo è noto: dalla ministra Azzolina, a tutti i media mainstream c’è stata una risposta sopra alle altre. Quasi urlata: l’e-learning, le lezioni a distanza attraverso la rete. Di più: il ministero di viale Trastevere ha fatto sapere di aver già avuto un incontro con esperti, per allestire una task force di sostegno agli istituti che ne facciano richiesta. Incontro con tecnici della Rai, della Treccani ma soprattutto con rappresentanti di Microsoft e di Google.

Così è cominciata la corsa a non lasciare “isolati” gli studenti. E i quotidiani ed i siti più trendy già narrano delle tante, tantissime “prime esperienze” che dovrebbero fare da apripista alle altre. Raccontate con orgoglio da presidi e rettori. C’è il linguistico di Bergamo, c’è il Martino Martini di Trento, e così via. C’è l’intera Alma Mater di Bologna. Si potrebbe continuare. Ma per restare a quelli citati: i primi utilizzeranno Hangouts Meet. È uno “strumento” progettato da Google, pensato addirittura – all’inizio – per le video conference delle imprese. I secondi, la “G suite for education”, un insieme di cloud, tools e software progettato e distribuito sempre da Google. L’università felsinea, invece, userà Microsoft Teams. Una piattaforma che si base sull’ultima suite di casa Redmond: la tanto discussa Office 365. C’è anche qualche scuola che dichiara di appoggiarsi a iTunes U, della Apple ma sono poche.

Comunque sia, sistemi, software, suite proprietari. Rigidamente proprietari. Che, certo, spesso vengono distribuiti gratuitamente. O più spesso abbinati ad hardware con “offerte speciali” per le scuole. Sistemi, software, suite quasi sempre incompatibili però con altre applicazioni. Per dirne una: da FireFox, uno dei browser più diffusi, non si può accedere a Microsoft Teams.

La cosa non sorprende. Perché l’istruzione, da sempre, è terreno di scontro fra i giganti del settore. Basti pensare – come spiega bene Matt Day, del Seattle Times – che appena un decennio fa, negli Usa, «le scuole erano un dominio assoluto» di Microsoft. Ora invece appena il 22% dei dispositivi in uso nelle aule americane usano sistema e software di Redmond. Ma la risposta non s’è fatta attendere: e secondo uno studio di Futuresource Consulting, Microsoft oggi vende, affitta, presta, il 65% dei prodotti su scala mondiale nel settore. L’Italia è tutta dentro questi numeri. Visto che dopo una ben orchestrata campagna pubblicitaria, il colosso di Redmon ha firmato tanti accordi con le università. L’ultimo quello con la Federico II di Napoli, dove Microsoft fornisce know how, laboratori e terrà lezioni sui big data. Col sospetto – sospetto – che i ragazzi si formeranno più sull’uso di Office 365 che sulle competenze per le nuove professioni.

Chi invece non ha avuto solo sospetti, qualche mese fa, è stato l’ufficio dell’Assia per la protezione dei dati e la libertà delle informazioni. Ha semplicemente deciso che Microsoft Office 365 è illegale in tutte le scuole del Land tedesco. Perché quando si configura l’accesso al cloud, indispensabile per avviare tutto, Microsoft potrebbe trasmettere i dati degli studenti tedeschi negli Stati Uniti.

Quel che fanno altrove qui non è neanche immaginabile. Quel che fanno a Wiesbaden a Roma neanche lo ipotizzano. Sostenuti da un clima dove basta la parola “innovazione”, scordandosi di domandare cosa sia questa innovazione. Un clima, ben rappresentato dall’attacco sul più diffuso quotidiano italiano al sindacato. Colpevole di aver mosso semplici rilievi all’entusiasmo per l’e-learning targato Google. Sindacato accusato di corporativismo. Chi ha letto le parole dell’organizzazione sindacale scopre però che le preoccupazioni sono altre: «La nostra organizzazione internazionale, nell’ultimo congresso ha fatto appello a tenere i sistemi educativi fuori dalle logiche di mercato. All’estero le multinazionali hanno già occupato lo spazio educativo, un rischio che vorremmo evitare, preservando il nostro sistema pubblico di istruzione». E Microsoft, Google, Apple e via dicendo col pubblico hanno davvero poco a che fare.