Che strana idea della sessualità e della libertà sessuale quella che affiora tra le righe della «tribuna» apparsa sul quotidiano francese «Le Monde» e firmata da un centinaio di donne tra cui Catherine Deneuve, l’editrice Joelle Losfeld, Ingrid Caven, l’artista Gloria Friedmann. Al centro c’è il caso Weinstein e ciò che ne è derivato in termini di denuncia del sistema di potere – equazione più o meno introiettata: se vuoi qualcosa me ne devi dare un’altra – e di confusione anche di obiettivi e di priorità che hanno portato, per fare un esempio, a scagliarsi contro opere (Blow Up di Antonioni) o autori – le polemiche in Francia sulla retrospettiva dedicata dalla Cinémathèque parigina a Roman Polanski. Sono chiaramente due piani molto distinti che è stupido se non pretestuoso mischiare.

Ciò che fanno invece le firmatarie di questo testo invocando – contro quanto classificano molto genericamente un neopuritanesimo montante – «la libertà di importunare indispensabile alla libertà sessuale». Adesso: confondere una mano al culo non desiderata col piacere dell’attrazione e del corteggiamento farebbe ridere se non fosse il segnale di una superficialità che nemmeno la voglia di «provocare-a-tutti-i-costi» sembra poter giustificare.

Soprattutto in questo frullatore le autrici dell’«appello» rivendicando la loro «libertà interiore inviolabile» – «perché non siamo solo il nostro corpo» – dimenticano un dettaglio: il potere e il suo esercizio contro il quale le donne hanno preso la parola segnando un inizio. Perché è di questo che si parla dal caso Weinstein in poi e di come in un sistema di avances piramidali si fa fatica a distinguere il desiderio dalla costrizione. È un inizio importante che va protetto, dai moralismi-legalizzatori che cercano di fagocitarlo come dalle presunte dichiarazioni di libertà.