Sotto la spinta delle società civile e di una piccola parte di quella politica, l’Italia ha finalmente chiesto, ai sensi dell’articolo 3 del Memorandum Italia-Libia, di riunire la commissione congiunta dei due paesi per modificare l’intesa. L’obiettivo, spiegano fonti governative, è quello di «migliorare il memorandum sul fronte dei diritti umani». Intanto però si è fatto scadere il Memorandum, che così si è automaticamente quanto tragicamente rinnovato. Dentro questa ambiguità, quali «modifiche» si vogliono davvero ottenere?

Certo, è positiva, in questo senso, la risposta del governo libico che si è detto «aperto a modifiche del memorandum d’intesa sui migranti stipulati tra Libia e Italia». Ma il memorandum per la sua struttura non è modificabile come si vuol far credere: non sono infatti emendabili né la detenzione arbitraria (carceri e campi di concentramento) che noi finanziamo, degli esseri umani torturati, stuprati, soggetti ad ogni tipo di violenza; né i nostri fondi alle milizie che chiamiamo «guardia costiera»; né il sostegno armato a questi aguzzini criminali con le dotazioni di eleganti motovedette militari; e tantomeno è emendabile l’autorizzazione fin qui data a fare la guerra alle navi umanitarie: tutti questi contenuti dell’attuale Memorandum altro non sono che crimini e vanno solo cancellati.

Ora, se questa novità della quale bisognerà attentamente verificare i contenuti, vuole veramente sanare il vulnus aperto dal rinnovo automatico, dovrà perlomeno cancellare questi misfatti.

Resta però fondamentale inquadrare quel che accade sul Memorandum, che altro non è che uno scempio del diritto internazionale, in uno scenario molto più ampio, che parte da lontano, da almeno 20 anni e precisamente dalla ridefinizione dell’«intervento umanitario» che deve essere prioritariamente militare, come sancito dai bombardamenti della Serbia da parte della Nato nel 1999.

Il filo rosso, rosso sangue in questo caso, che lega due momenti solo in apparenza distanti tra loro, sia nel tempo che nello spazio, è in realtà estremamente evidente e può essere riassunto nella categoria, individuata già nel secolo scorso da Carl Schmitt, di «guerra costituente».

Dopo il crollo trenta anni fa esatti del muro di Berlino, infatti, a livello mondiale, da parte dell’unica potenza allora rimasta, gli Stati uniti leadership del mondo e da parte del capitale finanziario che non vuole regole di controllo o pagare le tasse sui suoi immensi profitti, alle industrie dell’agrobusiness e del farmaco che privatizzano con i brevetti le risorse genetiche naturali, l’idea di un Nuovo Ordine Mondiale costruito attorno al profitto ha cercato di imporre la sua visione del mondo. Se solo ricordiamo come e perché nacque l’Organizzazione del Commercio mondiale, il Wto e, di conseguenza, un diffuso movimento di resistenza sociale ai processi solo mercantili della globalizzazione, cogliamo il quadro di riferimento complessivo.

Ebbene di quello scenario, oggi potentissimo nelle sue espressioni di potere a livello politico mondiale e nelle conseguenze nefaste in termini di ambiente, esclusione sociale, diseguaglianze, processi migratori e via enumerando, faceva parte l’idea delle guerre di nuovo conio, al di fuori dell’egida Onu, con una valenza di riconfigurazione delle regole del Diritto Internazionale, a partire dal suo anello più debole ed esposto: i diritti umani.

Tutto questo per dire, evidentemente, che il Memorandum libico, tra i suoi effetti nefasti, già ampiamente evidenziati da tantissime associazioni, Ong, parlamentari, e soprattutto dai reportage e dalle inchieste dirette, ha anche quello di sancire, per così dire, la presunta efficacia della guerra civile-mondiale in Libia del 2011 – e poi in Siria – nel cambiare de facto le regole del diritto internazionale. In effetti la morsa che stringe l’Europa, stretta da una parte dagli accordi con Erdogan per la gestione dei rifugiati siriani, e le cui conseguenze si vedono ora in tutta la loro tragicità (e non solo rispetto al popolo curdo, ma più in generale sull’impotenza dei meccanismi multilaterali nel gestire quel conflitto); e dall’altra proprio dal Memorandum italiano con la Libia, o meglio con i poteri criminali libici, definisce le nuove dinamiche internazionali in termini di gestione dei conflitti, rispetto dei diritti umani, ruolo delle Ong, politica estera comunitaria e di cooperazione allo sviluppo, aree di sovrapposizione tra interessi dei governi e quelli della criminalità organizzata nella gestione dei flussi migratori, e molto altro ancora.

E allora, in conclusione, la revisione del Memorandum va costruita a partire dal rifiuto di questo quadro geopolitico più articolato, in cui la posta in gioco va ben al di la delle relazioni italo-libiche, per inserirsi in una tendenza di denaturazione delle regole multilaterali e di una loro riscrittura a colpi di violazioni del diritto internazionale motivate da una realpolitik che di fatto le vuole radicalmente cambiare in favore del Diritto del più forte, del più ricco, della visione escludente legata ai nuovi e vecchi razzismi.

Riscrivere il Memorandum, in altre parole, significa rigettare la logica dei nuovi sovranismi, della reificazione degli esseri umani, del securitarismo versus l’inclusione, della cooperazione militare al posto di quella allo sviluppo. Speriamo che chi dice ancora di rappresentare a livello politico i valori costituzionali, comunitari, delle Nazioni unite, colga questa occasione e riesca a trovare le ragioni per un ripensamento radicale di questa aberrazione giuridica alla base del disastro libico e della stessa tragedia dei nuovi Muri eretti -a proposito del muro di Berlino caduto 30 anni fa – contro i migranti in fuga dalle nostre guerre e dalla miseria spesso prodotto del nostro modello economico di rapina