Il quarto rinvio della riforma delle intercettazioni, firmata dall’ex ministro Pd della giustizia Orlando alla fine del 2017 e bloccata già tre volte dal ministro M5S Bonafede, si è materializzato nel pomeriggio di ieri al senato come emendamento alla legge di bilancio. Ma è sparita quasi subito assieme al resto del provvedimento «mille proroghe», accompagnata dalla «irritazione» del Pd verso l’alleato 5 Stelle. I due partiti avevano appena ripreso la trattativa sulla giustizia, nella quale le intercettazioni fanno parte di un dare-avere assieme alla prescrizione, e tutto rischiava di saltare per il blitz tentato sulla riforma degli ascolti da parte del ministero di via Arenula. Blitz bloccato: la trattativa sulla giustizia ritorna al punto di partenza. Sempre in salita.

Il ministro Bonafede si era deciso a tentare la strada dell’ennesimo rinvio – dopo quelli del luglio 2018, aprile 2019 e agosto 2019 – di una legge che non condivide affatto, cercando di approfittare del «mille proroghe» che per qualche ore la maggioranza ha pensato di poter inserire come emendamento alla legge di bilancio. Contrariamente al solito, quando questo provvedimento di fine anno ha sempre preso le vesti di un decreto «omnibus» emanato a ridosso di Natale.
Si è fatto in tempo a prendere nota delle motivazioni del ministro. Che chiedeva il rinvio «tenuto conto di alcune necessità organizzative e di realizzazione complessiva delle sale di ascolto di alcuni uffici, connessa a una valutazione più generale». La riforma prevede infatti che le intercettazioni ritenute non rilevanti per le indagini non vengano più trascritte, neanche nei brogliacci, così da evitare in partenza il rischio che possano essere pubblicate. È consentito però ai difensori ascoltarle, in queste salette da allestire, senza estrarne una copia.

Bonafede ha provato a fermare la riforma, che nel 2017 aveva scontentato per certi versi sia i magistrati che gli avvocati, e certamente è criticata dalla maggioranza dei giornalisti, individuando «nel 30 giugno 2020 la data più opportuna per a piena funzionalità delle strutture e degli uffici». Inevitabile domandarsi a questo punto perché il ministro in un anno e mezzo non abbia pensato a preparare queste strutture, ma la risposata è semplice: i 5 Stelle hanno sempre pensato di sbarazzarsi di questa riforma. Avendone peraltro già modificato una parte, quella delicatissima sui cosiddetti trojan – i captatori informatici – nella legge «spazzacorrotti».

La riforma delle intercettazioni dovrebbe entrare in vigore il prossimo primo gennaio ed è su un piatto della bilancia, dove sull’altro c’è la nuova prescrizione così come disegnata dai 5 Stelle. Il Pd ha espresso «irritazione» per questa mossa «unilaterale» ed è riuscito a fermare la manovra. Salvando il dialogo sulla prescrizione che sta trovando una strada per uscire dall’angolo delle posizioni contrapposte. I 5 Stelle infatti non sono più così contrari a trasformare l’abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado in un’effettiva sospensione, più lunga di quella già prevista nel 2017 sempre da Orlando – da 18 mesi a due anni – insieme con la previsione di tempi massimi – ma lunghi – per i successivi gradi di giudizio.

La previsione della proroga sulle intercettazioni, ha spiegato il ministero di Bonafede dopo aver ingranato la marcia indietro, «è stata effettuata in via meramente cautelativa, considerate le difficoltà tecniche che avrebbe comportato per le procure un’entrata in vigore dal 1 gennaio». In realtà i procuratori capo delle principali città avevano manifestato al ministro soprattutto una preoccupazione sul regime transitorio, non sapendo come comportarsi con le intercettazioni in corso. Le interlocuzioni con il Pd sono in corso e il ministro grillino chiederà, anche in questo caso, una disponibilità a cedere qualcosa, per esempio prevedendo un ruolo del pm oltre a quello della polizia giudiziaria nella selezione delle intercettazioni rilevanti. E quando l’accordo sarà stato raggiunto, si troverà spazio nel mille proroghe «eventualmente anche con un decreto».