Dal caos grillino spunta, o meglio ritorna, un nome di altissimo profilo per le prime votazioni: la senatrice a vita Liliana Segre. Un nome emerso con forza nella notte tra lunedì e martedì nella lunga riunione della cabina di regia del M5S con Giuseppe Conte. Nome condiviso con la sinistra di Leu, e che già oggi nel vertice con Letta e Roberto Speranza potrebbe essere proposto come «candidata di bandiera».

Certo, con le dovute accortezze. Segre, sul cui nome già lo scorso autunno era stata indetta una petizione sostenuta dal Fatto quotidiano, ha spiegato di non essere disponibile: «Non ho la competenza e ho 91 anni». Nelle ultime ore, nuovamente sondata, avrebbe ribadito la sua tesi, lasciando aperto uno spiraglio solo nel caso in cui il suo nome non fosse «contro» un’altra candidatura, come quella di Berlusconi, ma solo la sottolineatura di alcuni valori fondamentali da lei rappresentati.

L’ipotesi che i 233 grandi elettori grillini e quelli di sinistra lunedì scrivano «Segre» sulla scheda è comunque sul tavolo. E non è escluso che così facciano anche i dem, nel caso in cui l’impasse non si fosse sbloccato su un nome di larghissime intese. Dal Nazareno trapela una certa cautela: «Quello di Segre è un nome sacro, non vogliamo che finisca nel tritacarne del Quirinale», fanno sapere. Ma se un’intesa di bandiera con l’alleato si dovrà trovare, Segre è certamente favorita rispetto a Anna Finocchiaro, ipotesi che continua a circolare nel Pd.

Di fronte a un ritiro di Berlusconi, e senza un’intesa più ampia, la scelta dei grillini sarebbe comunque questa. Mentre se il Cavaliere sarà in campo, già dalla prima votazione le truppe stellate potrebbero disertare la votazione. Soprattutto per evitare il rischio che qualcuno di loro possa cedere alle lusinghe di Arcore.

Nella riunione grillina sono state ribadite tutte le perplessità sul trasloco di Draghi al Quirinale. Il nome del premier, che ieri è cresciuto moltissimo nel borsino, spaventa la truppa M5S. «Per noi sarebbe la fine, il Movimento esploderebbe in mille pezzi…», avverte un parlamentare. E l’ex ministro Danilo Toninelli è ancora più esplicito: «Il premier deve completare quello che non ha ancora completato, sia nell’ambito della lotta al Covid che nell’ambito del Pnrr, in cui i ritardi appaiono evidenti. Non può oggi abbandonare l’Italia in questa situazione».

In ogni caso, Conte e i suoi si guardano bene dal mettere qualsiasi veto sul nome di Draghi, che è ben visto da Luigi Di Maio e da Enrico Letta. E proprio oggi il leader Pd ribadirà all’alleato quanto detto sabato alla direzione Pd, e cioè che la «carta Draghi» va maneggiata con grande cautela, perché l’Italia ne ha ancora bisogno. Pd e M5S trovano invece una perfetta intesa sul Mattarella bis, ipotesi che non è ancora sparita dai radar, l’unica a garantire al 100% la fine naturale della legislatura.

Una delle novità di ieri è che tra i dem e i grillini che non vogliono Draghi al Colle ha iniziato a circolare il nome di Franco Frattini, già ministro degli Esteri di Berlusconi fino al 2011 e fresco di nomina alla guida del consiglio di Stato. Oltre a piacere alla Lega, Frattini gode della stima di Di Maio e nella truppa grillina è la figura di centrodestra che ha il più basso sgradimento. Il suo nome è spuntato lunedì sera anche nella riunione degli ex renziani del Pd di Base riformista. Secondo i ragionamenti fatti dalla corrente attualmente più forte tra i parlamentari dem, sarebbe lui il papabile se Berlusconi insistesse e ricevesse una bocciatura alla quarta votazione.

In casa Pd non c’è voglia di lasciarsi andare alla girandola di nomi. I punti fermi restano Mattarella, Draghi e Giuliano Amato, e difficilmente ci si sposterà da questa triade. I dem in questa fase restano in pressing su Salvini per indurlo a scaricare Berlusconi e a lavorare su un nome condiviso per evitare il crollo della maggioranza e le urne anticipate. «Salvini deve decidere», avverte il vicesegretario Giuseppe Provenzano. «Se si rompe la maggioranza in un passaggio così delicato come l’elezione del presidente della Repubblica si può immaginare che si ricomponga il giorno dopo nel governo? Evidentemente no».