«Non c’è niente da chiarire. Lo ho già fatto in parlamento nel 2015 e quello che dovevo dire lo ho detto ieri. La misura è colma. D’ora in poi parleranno i miei legali»: Maria Elena Boschi tenta di chiudere così una vicenda che è molto lontana dall’essere chiusa. I legali in questione sono l’ex ministra Paola Severino e Vincenzo Zeno Zencovich. La querela parla di «ricostruzioni frammentarie e fuorvianti», che è cosa molto diversa da una negazione di quanto scritto da Ferruccio De Bortoli nel libro Poteri forti (o quasi). Il giornalista conferma: «Sono sicuro delle mie fonti. Non ho mai parlato di pressioni: ho solo riferito una notizia. Non mi aspettavo la querela ma siamo qua. Spero che arrivi davvero e non sia solo annunciata». Per l’ex direttore del Corriere della Sera la richiesta di dimissioni «è eccessiva». Però «nel caso della Boschi c’è un conflitto di interessi».

Il giornalista fa riferimento alla smentita di Unicredit, affidata in realtà ad anonime «fonti», nella quale si nega che l’ex ministra abbia mai esercitato «pressioni», senza però specificare se, pur senza calcare la mano, ci sia stato un suo interessamento a favore di un salvataggio di Banca Etruria da parte di Unicredit. Si tratta di un’ambiguità certamente non casuale che, sommata con la formula scelta dai legali di Boschi e con il silenzio dell’ex ad Ghizzoni, lascia pensare che quell’interessamento ci sia stato. È su questo punto, non su eventuali «pressioni», che tutte le opposizioni chiedono di fare una chiarezza senza la quale la Boschi deve dimettersi.

Non ci sarà tuttavia la mozione di sfiducia. «Per i sottosegretari non è prevista – spiega il capo dei deputati M5S Fico a margine della conferenza stampa in cui hanno chiesto a Gentiloni di venire in aula a spiegare il caso – quindi faremo una mozione di censura». È uno strumento meno micidiale della mozione di sfiducia ma più insidioso. Per principio infatti Fi non vota a favore delle sfiducie individuali. La mozione sarebbe pertanto respinta. Con la censura l’esito sarà probabilmente diverso. L’Mdp, i cui voti sono a palazzo Madama determinanti, insiste infatti sull’aut aut, «chiarezza o dimissioni», e ieri ha affidato il messaggio alla sua voce più autorevole, quella di Pier Luigi Bersani: «Bisogna andare a fondo. Se la cosa è vera non vedo come la Boschi possa restare al governo». Se la censura passasse, per Gentiloni sarebbe difficile non chiedere alla sottosegretaria di fiducia di Renzi, che l’ha imposta, di non dimettersi. Su questo conta M5S e Di Battista lo dice a chiare lettere: «Chiedere alla Boschi, che è una bugiarda seriale, di riferire in aula è inutile. Ma se c’è una pressione dell’opinione pubblica si possono ottenere le sue dimissioni».

Quel chiarimento che secondo la diretta interessata non è necessario lo chiedono tutti. Fratoianni e De Petris per Si, Salvini per la Lega, Giorgia Meloni. Anche Forza Italia, l’unico partito d’opposizione che a botta calda, subito dopo l’anticipazione della rivelazione di De Bortoli, non si era pronunciato, ieri ha rotto gli indugi chiedendo l’audizione di Ghizzoni in commissione Finanze. Il silenzio di Ghizzoni è in effetti sin dall’inizio l’elemento che più autorizza dubbi sulla versione della sottosegretaria. Paolo Mieli, presentando con l’autore il libro dello scandalo, lo ha detto ieri con parole definitive: «Il silenzio di Ghizzoni è una conferma. Ha il dovere di chiarire: ora è il momento di entrare nei fatti. Se domani non trovassi una sua intervista su qualche giornale non penserei un gran bene di lui».

In effetti a Ghizzoni ieri devono aver fischiato parecchio le orecchie. Non c’è forza politica, Pd e alleati centristi esclusi, che non abbia chiesto al parlamento e al governo di audirlo. Già ma dove? La commissione Finanze invocata da Fi non sembra la sede consona. M5S e Si insistono quindi per l’immediata istituzione di quella commissione d’inchiesta sulle banche di cui si era molto parlato ma che, come troppo spesso capita in parlamento, è stata dimenticata appena calata l’attenzione mediatica. Quella sì che sarebbe la sede propria per chiedere la verità a Ghizzoni, De Bortoli. E soprattutto a Maria Elena Boschi.