L’ultimo romanzo di Saveria Chemotti, Ti ho cercata in ogni stanza (L’Iguana, pp. 162, euro 14), si misura con il multiforme e complesso mondo delle relazioni tra donne. Già il precedente, La passione di una figlia ingrata, pubblicato solo due anni fa e finalista al premio Comisso, si collocava nel solco genealogico femminile riconosciuto nella relazione madre-figlia, nucleo incandescente che fonda tutte le relazioni successive. Ti ho cercata in ogni stanza è la storia di un’amicizia profonda, irrisolvibile e perdutamente amorosa tra Lydia e Berta che per la prima volta si incontrano adolescenti sulla soglia di un collegio in cui entrambe vivranno alcuni anni della loro giovinezza.

Inquieta creatura, Lydia ha negli occhi il turbamento per un futuro da indovinare e l’aria di famiglia con altre personagge letterarie; la prima che viene subito in mente è Fréderique de I beati anni del castigo di Fleur Jaeggy. E se lo sguardo obliquo di ammirazione per il suo talento da parte delle altre educande è il medesimo, non sfuggirà nel lavoro di Saveria Chemotti la rivolta interiore di Lydia che ricorda quella di Lila del ciclo dell’amica geniale di Elena Ferrante.
Prossemica irriverente e magistrale tenuta dell’amore tra donne non barattabile con parole, Lydia e Berta divengono così ossatura dell’intera struttura narrativa. Il desiderio sessuale, sfiorato eppure mai dichiarato, è uno dei punti centrali del romanzo che ripercorre circa quindici anni di vita delle due donne di cui conosciamo, e soprattutto distinguiamo, entrambe le voci.

È presente la grana tumultuosa degli anni Sessanta, il periodo del movimento studentesco, del femminismo e della baldanza giovanile; la relazione fra i sessi vissuta in un conflitto inconciliabile, il dramma indigeribile dell’aborto clandestino e insieme una minuta, fitta biblioteca di riferimenti – sia cinematografici che letterari, in particolare poetici. Proprio alla poesia, sostanza sottile che guarisce l’aridità linguistica del concetto, Chemotti si affida con maestria e una certa sicurezza. Non solo per i versi che compaiono nelle epigrafi scelte in apertura dei singoli paragrafi ma per una lontana parentela con alcune poete, cercate e tenute vicine, che hanno fatto della propria stessa vita un’opera d’arte. Tra tutte, viene in mente la biografia di Antonia Pozzi che, per piccoli bagliori, emerge sia a ricordare lo struggimento incancellabile per la maternità mancata di Lydia, sia in quegli scorci di montagna – natura prepotente e al contempo fragile che si erge maestosa a raccontare quanto ogni cosa venga celebrata anche in assenza dell’umano.
Ti ho cercata in ogni stanza segue il ritmo dilatato e imperfetto delle passioni, sconosciute fino a quando non si riconoscono negli occhi dell’amicizia di un’altra, puntellandone il destino. Quello che difficilmente si indovina durante l’adolescenza eppure è colmo, sia di perdite che di nascite impreviste.