Il prof. Roberto Burioni, il virologo che durante la pandemia ha occupato grande spazio nelle trasmissioni televisive, senza apportare un grande contributo né alla conoscenza scientifica né alla nostra informazione, ha lanciato, tramite Twitter, un’ammonizione contro il “maligno” che minaccia la nostra esistenza. Il contenuto è espressione di una mentalità diffusa che attribuisce funzione pedagogica all’induzione della paura: “I figli sono gioie, felicità ecc. ma anche maligni amplificatori biologici che si infettano con virus per loro quasi innocui, li replicano potenziandoli logaritmicamente e infine li trasmettono con atroci conseguenze per l’organismo di un adulto”.

Il messaggio è testimonianza di un vissuto persecutorio che attecchendo nel nostro mondo interno, fa della paura il regolatore normativo di un assetto mentale e affettivo chiuso in se stesso. Il rischio dell’infezione in caso di pandemia si affronta con una serie di precauzioni (anche drastiche) che motivate da una sana percezione del pericolo non devono essere tuttavia dettate dalla paura (l’indispensabile stato d’allerta che di per sé non offre alcuna via d’uscita), ma dalla ragionevole valutazione dei rischio e delle soluzioni possibili (quelle di emergenza e quelle di più lunga prospettiva).

Al netto di tutti i gravi errori del passato (a partire dalla mancanza di dispositivi di prevenzione seri e funzionanti e dalla crisi della salute pubblica in quasi tutto il mondo) che, restando irrisolti, continuano a minare i nostri sforzi di uscire dallo stato di necessità, senza cadere in un altro, l’umanità non manca certo di strumenti per fronteggiare il problema sanitario. La pandemia non ci spazzerà via sul piano biologico. In gran parte grazie ai vaccini (al di là della logica di speculazione che sottende la loro produzione). Un problema ben più importante è la nostra tenuta psichica. Su questo piano rischiamo di subire effetti molto negativi di lunga durata: uno stato depressivo persistente e una percezione paranoica della nostra relazione con gli altri. Non è questo lo stato d’animo migliore per progettare il nostro futuro.

Investire sulla paura (facendo leva su quella fisiologicamente esistente per intensificarla) per educare i cittadini ai giusti comportamenti di fronte a un pericolo, è sempre controproducente. L’eccesso di paura, producendo destabilizzazione psichica e angoscia, facilita reazioni impulsive e incoerenti o sfocia in un diniego del pericolo. Inoltre, la paura induce obbedienza e scoraggia il senso di responsabilità. Pensare che di fronte a una minaccia grave, una massa di individui obbedienti possa funzionare meglio di una comunità di cittadini responsabili (consapevoli dei loro interessi comuni), fa parte di una mentalità militare.

Questa mentalità non solo non va bene per venire a capo dei problemi legati alla precarietà del nostro sistema sociale; ha dimenticato anche la lezione della sconfitta dei Persiani da parte degli ateniesi a Maratona.
I fautori della fobia come mezzo di persuasione non si rendono conto di esserne abitati silenziosamente e di agire non per uscire dall’esposizione a un pericolo, ma per rendere lo stato di paura permanente e usarlo come fattore di stabilizzazione interna. Questo è un circuito perverso in cui l’eccesso destabilizzante della paura viene attutito con un assetto fobico che estroverte la destabilizzazione, convertendola in minaccia che viene da fuori. L’irrigidimento difensivo della propria posizione nel mondo, che crea una falsa sicurezza, sposta imprevedibilmente la percezione del pericolo da un oggetto a un altro, senza che ce ne sia coscienti. Crea diffidenza ostile anche nei confronti di ciò che si ha di più caro. I bambini saranno vaccinati solo su indicazione della scienza e non perché posseduti dal demonio. Contro i virus non abbiamo bisogno di esorcisti.