Esce «a testa alta e guardandovi negli occhi». Esce perché questo è «nell’interesse del bene comune» ma convinto di subire un’ingiustizia grave, un’offesa cocente. Esce con sdegno, ripetendo che non deve «difendersi dalle accuse che nessuno mi ha rivolto» e tuttavia giustificando poi tutto. Il famoso orologio, che diventa quasi una patacca, un regalino «da 3.500 euro». Le frequentazioni dubbie: amicizie di tutta una vita. Il lavoro fatto: ottimo e specchiato, «peccato doversene andare proprio adesso che iniziano a vedersi i risultati».

Le dimissioni di Maurizio Lupi sono una sceneggiata nota in anticipo, né potrebbe essere diversamente, avendo il ministro scelto di annunciarle di fronte alle telecamere di Vespa. E’ un copione prevedibile e previsto sin nei minimi particolari. La foga dell’innocente costretto al bel gesto. L’encomio di Speranza per il Pd: ma che mirabile senso delle istituzioni, caro ex ministro! Le braccia aperte di Brunetta per Fi che rigira il coltello nello squarcio: lo vedi che hai fatto male a fidarti, Maurizietto. La collera mal repressa di Cicchitto, Ncd. L’aula semivuota.
La suspence inizia solo quando la messa in scena stantia delle dimissioni chiude i battenti. E qui gli interrogativi sono numerosi. Chi metterà Matteo Renzi al posto del defenestrato, e quando? Fino al pomeriggio pareva che il premier mirasse a tenere l’interim fino a dopo le regionali, per inchiodare percentuali alla mano l’Ncd alla propria inconsistenza. Ma sarebbe come dover dimostrare che il mare è bagnato e la figura non sarebbe delle migliori. Così nel pomeriggio Renzi cambia idea e annuncia che il nuovo ministro arriverà a giorni, anche se il suo dicastero sarà depurato dal fiore all’occhiello, l’unità di missione. Passerà in forze a palazzo Chigi sotto la guida di Luca Lotti. La rosa dei papabili pare ristretta a due nomi: Raffaele Cantone, in pole position che un magistrato a ripulire il ministero più oscuro ci sta bene e fa consenso, oppure Graziano Delrio, qualora il timoniere decidesse di dare una smossa alla ciurma affidando alla Boschi il sottosegretariato alla presidenza e promuovendo Quaglieriello ministro delle Riforme, che tanto ormai c’è pochissimo da fare.

In realtà ieri sera spuntava, sia pur poco quotata, anche una terza chance: un altro magistrato, Nicola Gratteri. Tra i togati è lui il vero punto di riferimento di Renzi, che lo avrebbe voluto ministro della Giustizia e dovette rinunciare solo di fronte al fermissimo no di Napolitano, che non voleva affidare la Giustizia italiana a un magistrato collocato all’opposto esatto delle garanzie. Gratteri è anche uno degli idoli dell’M5S, il che potrebbe tornare molto utile qualora il governo si trovasse a corto di maggioranza al Senato. Prospettiva tutt’altro che irreale.
Il colpo micidiale inflitto al partito di Lupi non resterà senza conseguenze. L’autorevolezza di Alfano, accusato di piegarsi sempre ai voleri di Renzi, sta un po’ sotto la cantina. Lo sfarinamento a breve è nell’ordine delle cose. «L’Ncd non c’è più: è morta», ripete da giorni ad amici e nemici Nunzia Di Girolamo. In effetti le tentazioni sono un lungo elenco: c’è chi, come l’ex ministra in questione, guarda alla casamadre azzurra. Chi, come l’ancora ministra Beatrice Lorenzin, già si comporta come se avesse una tessera benemerita del Pd in tasca. Chi, nella truppa parlamentare, pensa all’astro nascente leghista.

Il dissolvimento del partito nato da una costola di re Silvio non creerebbe alcun problema alla Camera. Al Senato le cose stanno diversamente, non solo e non tanto nei momenti topici del voto di fiducia quanto nella palude minacciosa del giorno-per-giorno. Per questo Renzi potrebbe guardare ora con massimo interesse al plotone folto di fuorisuciti dall’M5S, per i quali i nomi sia di Cantone che di Gratteri sarebbero una sicura garanzia.

Intanto, però, all’Ncd un ministero in cambio di quello appena perso bisognerà pur darglielo. Certo di tutt’altro peso. Il miraggio centrista di conquistare la Pubblica istruzione suona più o meno come una barzelletta. Il premier aveva proposto alla Di Girolamo quello delle Pari opportunità, e si può facilmente immaginare la risposta. Quindi è passato a caldeggiare gli Affari regionali per Quagliariello, che accetterebbe volentieri ma solo con tanto di passaggio della delega per il Sud da palazzo Chigi a quel ministero. Cosa risponderà Renzi non si sa, ma che metta davvero il Meridione nelle mani del morente e chiacchierato partito di Alfano è quasi fuori discussione.